L’attesa era tanta per il nuovo esperimento mediatico di Michele Santoro. Un Servizio Pubblico preparato ad arte, con ingredienti sapientemente mescolati per stuzzicare l’interesse degli indignados del Belpaese e mirabilmente cavalcati dal giornalista salernitano. Un esperimento che vedeva Santoro, orfano dell’aura protettiva di Mamma Rai, da solo al timone di un nuovo progetto che si poneva come obiettivo precipuo la libertà di informazione per una tv pluralista senza padrini nè padroni.
Ad entusiasmare era anche (e soprattutto) la nuova modalità di fruizione del programma che, per la prima volta, può realmente dirsi crossmediale, spaziando da internet alla tv tradizionale, passando per il satellite con la messa in onda sui canali 100, 500 e 504 di Sky. Un network di televisioni locali che tanto ricorda (manco a farlo apposta) le strategie berlusconiane dei primissimi anni 80 quando, per poter trasmettere su tutto il territorio nazionale, Canale5 si affidava ad un network di emittenti locali (con modalità diverse).
Le aspettative, però, sono state disattese. Servizio Pubblico è risultato un Annozero sottotono, con contenuti che sanno di già visto: una carrellata dei clichè santoriani che, però, peccavano in originalità. C’era l’arcorina pentita, c’era un prolisso Travaglio e c’era pure Vauro che, per l’occasione, ha vestito i panni inopportuni e inappropriati dello showman. E c’era anche un Lavitola ‘in replica’. Mancava però il ‘nemico’ (assenti esponenti del governo e, più in generale, della maggioranza), cosa che ha fatto venir meno la magnetica ‘liturgia santoriana‘. Ma a mancare, per assurdo, sembrava proprio il Santoro di Raidue.
Chi si aspettava un conduttore carico a pallettoni è rimasto deluso: ci si è trovati di fronte ad un programma al rallenty nel quale persino Travaglio non è riuscito ad accendere gli animi, rifugiandosi nell’unico ‘guizzo’ (debole) della puntata: l’Air Force Nano. E c’è stato persino lo sforo sulla tradizionale tabella di marcia (il programma ha chiuso a pochi minuti dalla mezzanotte e mezza), sintomo, forse, di un formato non ancora definito e in via di perfezionamento.
E di margini di miglioramento può certamente parlarsi. A meno che non si continui ad insistere sull’antiberlusconismo. Perchè, ormai, è come sparare sulla croce rossa. E il pubblico dei dischi rotti alla fine si annoia. Anche se a suonarli c’è un numero uno come Michele Santoro.
1. Marco Urli ha scritto:
4 novembre 2011 alle 13:57