Comincierebbe nel segno dei proclami il ‘pontificato’ del neo direttore generale della Rai Lorenza Lei. Le indiscrezioni riferiscono di un manifesto di idee che è di quelli che strappano l’applauso facile, che piacciono un po’ a tutti come retorica della ‘giustizia’. A chi come noi però la televisione la osserva e la analizza lascia più di una perplessità questa paventata intenzione di ‘ripulire’ le reti Rai dal genere reality show.
Sostanzialmente se sciogliamo le riserve della diplomazia l’obiettivo sembra L’isola dei Famosi, la testa è quella di Simona Ventura, il cui matrimonio con le produzioni di Via Mecenate sembra avviarsi sempre di più a conclusione ad ogni minuto che passa. Il cambio di guardia al vertice, da Masi che benediceva l’inizio del suo reality alla Lei che si dichiara subito contraria a questo tipo di intrattenimento (posizione allineata in buona sostanza a quella di Zavoli), potrebbe essere il vero e proprio colpo di grazia. Come reagirà la Mona: si riciclerà con umiltà o si concederà la pausa a cui ha spesso accennato?
Ma soprattutto sarà un ennesimo regalo a Mediaset, una svendita che costerà cara all’azienda? Una cosa bisogna sicuramente precisarla a monte di ogni valutazione: sembra pretestuoso e un po’ demagogico ‘sparare’ sul genere vilipeso per eccellenza. Avremmo preferito sentir parlare di un codice culturale a cui adeguare i programmi a prescindere dal genere, e non una condanna d’etichetta.
Licenza di continuare all’intrattenimento senza grandi contenuti basta che non ci sia un’affiliazione di nomenclatura alla reality tv? Cioè semaforo verde per i vari Ciak si canta o I Raccomandati, giusto per citare due esempi di trasmissioni non inquadrabili né nelle dinamiche di servizio pubblico né in quelle di stimolo culturale, e semaforo rosso a una schiera composta dai reality show, Isola dei Famosi in primis.
Le cartoline paesaggistiche dell’Honduras e la pubblicità progresso insita all’ecologia, l’educazione civica che nel giusto livello di lettura può trasmettere l’isola, il fascino quasi romanzesco dell’avventura con tutto il corollario di capolavori letterari che lo suffragano deve per forza cedere alla morale della parolaccia che non si può dire, della corporeità più esibita, della lite un attimo più eclatante?
Ridurre il problema della tv di Stato, nel mondo della frammentarietà culturale e mediatica, a qualche tratto più incandescente del reality appare veramente uno specchietto per le allodole. Soprattutto se pensiamo solo per un istante ai problemi della deontologia dell’informazione che affliggono il servizio pubblico, ridotto spesso a una copia della tv commerciale, solamente più contrita. La scelta è quella di consentire il voyeurismo insistito dell’infotainment chiudendo invece al voyeurismo ludico del reality?
1. FDv88 ha scritto:
5 maggio 2011 alle 12:22