Patrick Lumumba, Domenica Cinque
Patrick Lumumba porta dentro una ferita che ancora oggi non cicatrizza. Quella procuratagli da Amanda Knox, la quale nel novembre 2007 lo accusò di essere l’assassino della coinquilina Meredith Kercher. Cosa non vera, come hanno stabilito i giudici vagliando l’alibi di ferro del giovane senegalese. Ma Patrick, per quella diffamazione, venne arrestato e trascorse due settimane in prigione, esposto alle angherie della gogna mediatica. Un trauma. Nonostante fosse estraneo all’uccisione di Mez, quell’esperienza ha stravolto la sua vita.
Oggi, a poche settimane dalla sentenza di Appello che ha assolto per insufficienza di prove Amanda Knox e Raffaele Sollecito, Lumumba è stato ospite della puntata di Domenica Cinque, dove ha raccontato gli sviluppi giudiziari del delitto di Perugia dal suo punto di vista.
“Rispetto la legge italiana ma sono convinto che Amanda c’entri con la morte della povera Meredith e lei mi ha incolpato perché le serviva (…) Sono convinto che Amanda abbia fatto il mio nome per depistare le indagini e ha scelto me perché è più facile incolpare un nero e lei aveva bisogno di tempo“. Queste le dichiarazione più esplicite e convinte rilasciata dal 38enne Patrick davanti alle telecamere di Canale5.
Il ragazzo, in apparenza sereno nonostante la pesante ingiustizia subìta, ha poi ricostruito i suoi contatti con la Knox dopo il delitto.
“Il giorno precedente al mio arresto, incontrai Amanda, che mi disse che lei e le sue coinquiline non potevano comunicare con nessuno o telefonare a nessuno. Poi mi abbracciò forte e mi disse che ero una brava persona. Qualche ora dopo la polizia venne a prendermi perché Amanda mi aveva accusato dell’omicidio di Mez”.