La terminologia legata alla morte mi provoca da sempre un fastidio quasi epidermico. Funerale, camera ardente, cremazione, tumulazione e cordoglio non appartengono al mio vocabolario. Per non parlare delle condoglianze, parola della quale non ho mai capito il significato e – soprattutto – l’efficacia. Credo di non essere mai stato in grado di pronunciarla e ho sempre preferito affidarmi ad un meno tradizionale “mi spiace tanto”. Professionalmente, invece, mi disturbano i coccodrilli, trasposizione giornalistica dell’ipocrisia dell’ultimo dei detrattori del defunto che, in punto di morte, non solo si trasforma nel primo degli estimatori ma è pronto a tesserne persino le lodi. Soprattutto per quanto riguarda le straordinarie qualità morali della persona che ci ha lasciato.
Per non parlare delle rivoltanti riabilitazioni post mortem che spesso e volentieri accompagnano tanto il coccodrillo di turno quanto le lacrime dell’ultimo dei detrattori redenti di qualche rigo fa. Come se nella tomba ci si possa godere alcunchè. Ne saprà qualcosa quella poverina di Mia Martini.
Ma ieri s’è fatto di più con Pietro Taricone. Si è sperimentato il coccodrillo preventivo. Ieri mattina, già alcune agenzie di stampa parlavano del Taricone che fu, dell’ultimo guerriero, delle gesta del primo Grande Fratello, dandolo per spacciato quando ancora il concorrente reinventatosi attore lottava – sotto i ferri – tra la vita e la morte. E poco importa se la situazione era ben chiara a tutti. Ci vuole rispetto per il dolore. Rispetto che è mancato anche nel pomeriggio quando, nel corso di A Gentile Richiesta, si è continuato a ricordare Pietro come se fosse già passato a miglior vita al cospetto del solito gruppo di opinionisti dalla lacrima facile e dall’onniscenza del nulla.