In questi giorni nelle sale con Reality, il film sul genere televisivo che più ha impressionato l’immaginario collettivo degli anni Duemila (e che probabilmente troveremo come cifra sociologica indicata per capire in futuro questo decennio così ambivalente e complesso), Matteo Garrone in un’intervista a Max si lascia scoprire e prova a spiegare meglio la sua avventura di regista, spiazzando con qualche gioco di similitudine.
Già da qualche mese aveva cercato di spiegare che non si trattava di una specifica pellicola contro il Grande Fratello, capro espiatorio preferito per ogni problema, anche perché sarebbe stata un’operazione di cliché e di corto respiro, visto l’apparente tramonto del fenomeno, uscito di scena in attesa di una revisione alla carrozzeria.
Per il nuovo film si è piuttosto sempre parlato di una sorta di Pinocchio dalle tinte postmoderne, come se il Gatto e la Volpe, fiere allegoriche di Collodi, avessero passato il testimone a quel grosso calderone di distrazione di massa, chiamato per l’appunto reality show. In effetti visto col senno di poi l’apogeo della televisione della realtà riporta alle lunghe code dei casting più disparati per la ricerca della popolarità a tutti i costi. Seguiamo però le riflessioni dell’autore per immagini di Gomorra per addentare meglio il nocciolo della questione speculativa: