Di Schuester ama la pazienza e con lui condivide la passione per le arti performative. Quello che, invece, a Matthew Morrison non va giù del suo personaggio di Glee è l’abbigliamento. Non si vestirebbe mai come lui, confessa. L’attore statunitense è arrivato a Milano per partecipare alla puntata di stasera di X Factor 7 dove si esibirà sulle note It Don’t Mean A Thing, brano che fa parte della sua raccolta di rivisitazioni di classici americani. L’abbiamo incontrato, nel corso di una tavola rotonda con altri giornalisti, ecco cosa ci ha detto.
Adam Levine produce il tuo disco. Com’è nata questa collaborazione?
Eravamo amici prima ancora che nascesse questo progetto. Siamo entrambi di Los Angeles, abbiamo sempre parlato di musica e un giorno gli ho detto che mi sarebbe piaciuto realizzare un album con l’ausilio di una grande orchestra – perchè oggi gli arrangiamenti sono perlopiù computerizzati – e lui sin da subito si è mostrato interessato. All’inizio pensavo pure scherzasse! Levine è uno che sa trattare con gli artisti. Sono cresciuto sulle note di Sinatra e Dean Martin e confesso che mi sarebbe piaciuto veramente vivere negli anni Cinquanta perchè mi trovo molto a mio agio con quella musica.
Ricorderete ancora Cory Monteith a Glee?
C’è già stato un tributo, il suo nome emerge in tutta la serie, perciò non ci siamo già limitati a quell’unico episodio. La sua è stata una presenza di grande importanza, farà sempre parte di Glee.
Ti vedremo alle prese con qualche performance particolare nei nuovi episodi della serie?
In questa stagione interpreterò in coppia con Jane Lynch, Cheek to cheek, sarà una rappresentazione in stile Fred e Ginger. Mi sono appena cimentato con Blurred Lines nell’episodio sul twerking; in generale ci sono sempre delle belle canzoni anche se, arrivati al seicentesimo numero musicale, siamo un po’ a corto di idee!
Cosa puoi dirci del tuo personaggio?
Will Schuester ha fatto davvero un ottimo lavoro, è stato di ispirazione per i suoi ragazzi e ci vorrebbero più persone come lui nelle scuole soprattutto in un periodo in cui le arti stanno quasi scomparendo. Abbiamo bisogno di ispirare i giovani.
Cosa ti accomuna e cosa ti differenzia dal tuo personaggio? Cosa potrebbe insegnarti Schuester?
Io e Will siamo entrambi molto positivi e abbiamo passione per l’arte, la mia è grande al punto dal voler istituire una scuola per le arti performative. Quello che non farei mai è vestirmi come lui! E’ uno show televisivo e non vorrei mai trovarmi nelle sue situazioni, non vorrei mai che la gente parlasse dei mie capelli. Io amo i miei capelli! (ride) Quello che potrei imparare da Schuester, invece, è la sua pazienza con gli studenti.
Qual è l’X Factor di Glee?
Il cast. Hanno veramente scelto le persone migliori per interpretare quei personaggi. C’è una serie di archetipi: dalla ragazzina che vuole diventare una star al ragazzo gay e hanno scelto degli attori perfetti per quei ruoli. Per quanto riguarda il mio X Factor, parto dal dire che il mio grande idolo è Gene Kelly, che è stato attore, ballerino, cantante, una figura completa che nella nostra generazione – almeno negli Stati Uniti – non esiste più. Il lavoro che sto facendo è proprio quello di portare, con le grandi orchestre, la musica e il sapore degli anni Cinquanta e Sessanta.
Qual è il punto in comune tra X Factor e Glee?
Glee è una serie molto eclettica, apre le menti a diversi generi musicali, io addirittura nelle prime stagioni mi sono spesso cimentato con brani rap. Ci sono state canzoni pop che non conoscevo e successi del passato che probabilmente erano sconosciuti alle generazioni più giovani. Sotto questo punto di vista Glee e X Factor potrebbero essere simili.
Dicevi che l’X Factor di Glee è stato il cast, alla luce del calo d’ascolti, c’è stato qualche problema di casting nelle ultime stagioni?