Non si può dire che Stefano Sollima, regista e deus ex machina della serie, non ci avesse avvertito. Come se si volesse difendere delle accuse che alcuni politicanti gli avevano mosso per “i pericoli” e le “influenze negative sui giovani” di Romanzo Criminale, il creatore della fiction aveva risposto che la seconda stagione avrebbe messo in luce la negatività dei personaggi di una banda sull’orlo della disgregazione.
Il quinto e il sesto episodio di Romanzo Criminale 2, trasmessi ieri sera da Sky Cinema 1, hanno introdotto quello che dovrebbe essere l’inizio della fine: si scopre chi ha ucciso il Libanese (con un colpo di scena che lascia senza fiato chi ha letto il libro di De Cataldo e visto il film di Michele Placido), si vedono i primi tradimenti, un Freddo che non può più fidarsi di nessuno e le aspirazioni di un Dandi che si appresta a diventare un “colletto bianco” alle prese con speculazioni e ambienti d’alta classe, superando lo status da “criminale di strada” che possedeva.
La banda non è più unita, ognuno “si fa li caxxi sua” (Dandi dixit) e perfino il povero Bufalo, arrestato e condannato a 28 anni di carcere in primo grado, è stato abbandonato dagli amici di un tempo che di tutto si occupano tranne che di pensare a tirarlo fuori di galera. Il fatto è che avviene tutto troppo in fretta e, mentre nel quarto episodio avevamo visto “i padroni de Roma” tutti uniti nella lotta alla camorra e pronti a sistemare il Sardo, nel giro di 100 minuti di pellicola si assiste al trionfo dell’individualismo: i criminali come entità a se stanti, addio al “progetto comune” che li aveva resi i padroni della città eterna.