Politica in TV


8
novembre

BERLUSCONI KO: PRONTO ALLE DIMISSIONI. BALLARO’ GLI SUONA IL REQUIEM

Silvio Berlusconi

Game over. La festa è finita, stavolta per davvero. Il voto odierno espresso dalla Camera, con la maggioranza inchiodata a quota 308 consensi, ha inferto il colpo di grazia al moribondo Governo guidato da Silvio Berlusconi. Un epilogo che si aspettavano in molti, vista la situazione politica ed economica particolarmente compromessa delle ultime settimane. In serata il premier è salito al Colle e ha concordato col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si dimetterà dopo l’approvazione della legge di stabilità. Probabilmente l’ultimo atto da protagonista della sua vita politica. “A questo punto le elezioni anticipate sono più vicine” ha detto lo stesso Cavaliere intervenendo all’edizione delle 20 del Tg5. Con la conclusione forzata della legislatura, il Paese si ritrova di nuovo al bivio. E c’è chi festeggia in diretta tv “la fine di un’epoca.

Basta sintonizzarsi su Rai3 per capire che oggi la puntata di Ballarò va in onda a tempo samba. Il Berlusca è ko: allegria, compañeros! Per una strana ironia della sorte, tocca proprio alla trasmissione condotta da Giovanni Floris (una delle più odiate dal Cavaliere) raccontare agli italiani la disfatta del Governo. Sulla terza rete, il giornalista – tutto gongolante – analizza le fasi della crisi politica e intona il requiem del berlusconismo col sorrisetto sulle labbra. Trasmette le immagini della celeberrima “discesa in campo”, del contratto con gli italiani siglato a Porta a Porta, delle autoreferenziali telefonate del premier a Ballarò… In sottofondo l’emblematica colonna sonora de La Piovra.

Dopo uno scoppiettante monologo di Maurizio Crozza, la parola passa agli ospiti in studio: Sandro Bondi (Pdl), Enrico Letta (Pd), i giornalisti Lucia Annunziata, Ferruccio De Bortoli e Mario Sechi. “La colpa della crisi attuale è solo di Silvio Berlusconi o anche dell’intero Paese?” domanda Floris. E il dibattito si infiamma.

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7
novembre

TRAVAGLIO BACCHETTA GIORGIO GORI: E’ UN EX BERLUSCHINO. MA SE A SFRUTTARLO IN TV FOSSE LA SINISTRA?

Giorgio Gori

Neanche il tempo di archiviare Berlusconi che già qualcuno ne intravede un sosia all’orizzonte. Per di più orientato a sinistra: che incubo. La decisione di Giorgio Gori di “scendere in campo” a sostegno di Matteo Renzi ha gettato scompiglio nel mondo della politica e in quello del giornalismo. All’indomani della convention programmatica tenuta dal sindaco di Firenze alla Leopolda, Marco Travaglio ha sparato un editoriale critico nei confronti del rottamatore del Pd e soprattutto del suo consigliere Gori. Secondo il vicedirettore del Fatto Quotidiano, quest’ultimo avrebbe una colpa imperdonabile: quella di essere stato un “ex berluschino”, che nel linguaggio travagliesco vuol dire un ex collaboratore del Cavaliere.

La storia del capo di Magnolia ora convertitosi alla politica, infatti, si intreccia con quella di Silvio Berlusconi, che nel 1989 (a 29 anni) lo nominò capo dei palinsesti di tutte e tre le reti Fininvest. Figurarsi, una simile biografia non poteva che attizzare la verve polemica di Marco Travaglio, che sul Fatto Quotidiano ha connotato politicamente l’intera carriera dell’ex produttore televisivo nato e cresciuto all’ombra del Biscione.

Nel ‘94, mentre B. entra in politica cacciando subito Montanelli dal Giornale, è lui il comandante della portaerei Fininvest che in tre mesi lancia Forza Italia nel firmamento della telepolitica (ricordate gli spottini di Mike, Vianello, Zanicchi & C.?) e fa vincere le elezioni al padrone. Ed è ancora lui a mettere la sua faccina efebica e la sua firma su programmi-manganello come Sgarbi quotidiani e Fatti e Misfatti di Liguori, specializzati nel killeraggio dei “nemici” del padrone (…) Ora, al fianco di Renzi, Gori dice di voler liberare la Rai dai partiti…”

A stretto giro, l’ex responsabile di Magnolia ha replicato a Travaglio spiegando che negli anni in cui egli avrebbe fatto “il berluschino” da Fininvest passarono pure Michele Santoro e Daniele Luttazzi.


1
novembre

RAI: LE PROPOSTE DEL ROTTAMATORE MATTEO RENZI

La rottamazione della Rai secondo Matteo Renzi

Rottamazione vs usato. Con un gergo da incentivo automobilistico la sfida che da qualche mese si consuma in una nuova versione all’interno del Pd non risparmia l’idea di televisione pubblica che le due correnti intendono affermare come linea maggioritaria. Matteo Renzi, il vispo sindaco di Firenze, all’interno della sua campagna di comunicazione molto forte per il rinnovamento del Partito Democratico si esprime a favore di una razionalizzazione privatistica del sistema radiotelevisivo.

Tra le cento proposte, molte delle quali etichettate come vintage anni 80 da Bersani, Renzi e il suo team di pionieri del nuovo si è espresso anche sulla questione della Rai, porgendo una mano trasversale a qualche altro esponente politico, di diversa estrazione, che aveva già avanzato ipotesi nella stessa direzione. Più concorrenza a Mediaset, meno incertezza di bilancio, fine del regime misto canone-pubblicità per gli stessi canali e netta separazione del finanziamento.

Le proposte specifiche sono la numero 16 e la numero 17 del manifesto della rottamazione. Ecco la ricetta renziana, che lasciamo alla descrizione diretta di coloro che hanno presentato la possibile fase due della sinistra italiana:

Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali solo 8 hanno una valenza “pubblica”. Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai 1 e Rai 2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati. Il canone va formulato come imposta sul possesso del televisore, rivalutato su standard europei e riscosso dall’Agenzia delle Entrate. La Rai deve poter contare su risorse certe, in base ad un nuovo Contratto di Servizio con lo Stato.





27
ottobre

I POLITICI IN TV? NON VANNO PRESI ‘ALLA LETTERA’

Silvio Berlusconi, Porta a Porta

In Europa hanno capito l’antifona: i politici italiani non vanno presi ‘alla lettera’. A pagarne le conseguenze per primi sono stati Silvio Berlusconi e Gianni Letta, che nei giorni scorsi hanno partorito a fatica una missiva d’intenti da presentare a Bruxelles. Sembrava di rivedere Totò e Peppino alle prese con l’epistola alla Malafemmina: “Punto, due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo… Abbondandis’id abbondandum“. Alla fine il documento è stato consegnato all’Unione Europea ed ora è il momento delle reazioni dipolimatiche. Ieri sera il premier è intervenuto telefonicamente alla trasmissione Porta a Porta per rassicurare gli italiani sulla buona riuscita dell’operazione anti-crisi.

Avremo una serie di provvedimenti nell’arco dei prossimi mesi” ha annunciato il Cavaliere, dicendosi certo che il Governo terrà fino al 2013. Collegato con Bruno Vespa, il Presidente del Consiglio ha anche lanciato un appello a Bini Smaghi perchè si dimetta dalla Bce e si evitino così frizioni con la Francia. Alle parole pronunciate da Berlusconi sono seguite le reazioni allarmate degli esponenti d’opposizione, tutti critici nei confronti delle misure previste dall’Esecutivo. Muro contro muro, ancora una volta. Come da copione. Il ping-pong delle dichiarazioni si è susseguito per l’intera puntata e alla fine la sensazione che rimaneva al telespettatore era quella di non averci capito un’acca.

In un momento politico così delicato, il pubblico rimane sempre più confuso di fronte ai comizietti da salotto. E la resposabilità di tale situazione è anche della tv, la quale spesso sostituisce le notizie con le dichiarazioni preconfezionate dalle segreterie di Partito. E il fenomeno, sia chiaro, riguarda un po’ tutti i programmi di informazione. Pensiamo ad alcune puntate di Ballarò o di Piazza Pulita che degenerano in sterili bagarre innescate dagli Onorevoli seduti in studio. Parole, parole, parole… Noi” contro “voi“: la dialettica del politichese prende il sopravvento e buona notte ai contenuti.


26
ottobre

RAI, GARIMBERTI AMMETTE: ESISTE UN PROBLEMA (DI FAZIOSITA’) DEL TG3

Tg3, Bianca Berlinguer

Ma pensa, non c’è solo ‘Minzolingua’. In Rai esiste anche un problema Tg3. E se ad ammetterlo è lo stesso Paolo Garimberti viene quasi da crederci. Durante l’audizione tenutasi ieri in commissione di Vigilanza, il Presidente della tv pubblica ha attestato che nel notiziario diretto da Bianca Berlinguer c’è qualcosa che non funziona. Chiamatelo strabismo a sinistra, faziosità o come cavolo vi pare… Fatto sta che il tg della terza rete è leggermente di parte. “Esiste un problema Tg3, lo ammetto…” ha detto Garimberti nella riunione tenuta assieme al DG Lorenza Lei.

Ad innescare la constatazione del Presidente della Rai è stata una domanda sibillina del capogruppo Pdl Alessio Butti, il quale ha chiesto al vertice di Viale Mazzini se avesse “notato o meno la faziosità del Tg3“. “Non pretendiamo condizionamenti ma Garimberti esprima un giudizio sul Tg3. C’è o no un problema pluralismo anche lì, oppure salta quel canale quando fa zapping? E’ forse solo una nostra fissa questa del Tg3?” ha domandato Butti.

Garimberti non si è sottratto dal rispondere, e anzi ha utilizzato toni inequivocabili che lasciano poco spazio ad interpretazioni: il problema Tg3 esiste. Il Presidente Rai ha anche confidato che lunedì sera ha telefonato a Bianca Berlinguer, per lamentarsi del fatto che “i lanci del Tg3 della sera prima non erano obiettivi“. Il problema della testata – ha proseguito - è rilevabile ”in termini di distinzione tra opinioni e notizie ma non in termini di completezza di informazione“.





25
ottobre

BALLARO’: CROZZA CON LA SCUSA DELLA GAG INTERROGA MARIA STELLA GELMINI

Ballarò- Crozza interroga la Gelmini sperando di metterla in imbarazzo

Siam quasi alla fantapolitica, lo diciamo e non lo neghiamo. Da Ballarò, dalla copertina affidata al solito Maurizio Crozza, ringalluzzito più che mai dagli ascolti mirabolanti di Italialand, arriva l’ennesima dimostrazione di come giri in questo momento. Nel bel mezzo della gag sul fatto della settimana, e cioè le risatine sotto i baffi alemanni e transalpini al solo pronunciare del nome di Berlusconi, il comico tira fuori il coniglio dal cilindro.

In studio c’è Mariastella Gelmini, ancora pesantemente indolenzita dalla gaffe dei neutrini: quale migliore occasione per fare il colpaccio? Fingendo di non ricordare il nome del premier norvegese Crozza gira subito la domanda al ministro della Scuola. Occasione ghiotta, ghiottissima. Momento thrilling per la pidiellina. Se Maria Star non sapesse sarebbe il colpo di grazia, l’umiliazione finale ad una figura molto fragile.

La titolare del dicastero della Ricerca non finisce nella trappola. La domanda non era delle più semplici e per sua fortuna riesce a cavarsela con nonchalance.  L’attacco è sventato, la Gelmini almeno per il momento salva la sua credibilità istituzionale, impedendo ai famelici vicini di svolazzare su quella che il comico voleva rendere definitivamente una carcassa mediatica. Crozza con tono di sfottò deve dichiarare:

Bravissima Gelmini, hai visto allora che le cose le sa?


14
ottobre

MINZOLINI CONTRATTACCA: FINI HA UNO STRANO CONCETTO DI IMPARZIALITA’. BASTA LITANIA DELLE DIMISSIONI DALLA SINISTRA (VIDEO)

Augusto Minzolini, Tg1

Prosegue il serrato botta e risposta a distanza tra il Presidente della Camera e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Secondo round: il giornalista contrattacca e azzanna l’avversario. Tipo Mike Tyson. Dopo le accuse di faziosità e la conseguente richiesta di dimissioni avanzata ieri da Gianfranco Fini, questa sera il responsabile del Tg1 ha replicato alle rimostranze presidenziali in un editoriale trasmesso nell’edizione delle 20 del suo notiziario.

“Ieri l’Onorevole Fini ha fatto un uso improprio del termine fazioso, ma il Tg1 fa solo cronaca e continuerà a farla. Del resto, nel suo agire quotidiano, il Presidente della Camera dimostra di avere una visione particolare del concetto di imparzialità, ma io rispetto tutte le Istituzioni” ha esordito il giornalista con tono vagamente polemico.

Nel corso del suo intervento, Minzolini ha poi commentato l’odierna giornata politica, caratterizzata dalla fiducia della Camera al Governo Berlusconi. Con 316 sì il Cavaliere ce l’ha fatta e anche per questa volta si è salvato la ghirba. Riferendosi al dato parlamentare, il giornalista ha dichiarato:

“In questi mesi molti hanno citato la Costituzione e la Costituzione è chiara nell’affermare che un Governo resta in carica fino a quando ha la fiducia del Parlamento. Oggi per l’ennesima volta la Camera dei Deputati ha votato la fiducia al Governo e rispetto al voto del 14 dicembre dello scorso anno la maggioranza passata da 314 a 316 voti e la minoranza ne deve predere atto“.

Così Minzolini si è riferito all’atteggiamento politico della sinistra che, a questo punto, potrà scegliere varie strategie d’azione (collaborare col Governo o mettere in piedi un’alternativa credibile) “ma non può continuare con la litania della richiesta delle dimissioni“. Parole destinate a suscitare reazioni polemiche, coi toni da tifoseria ai quali siamo ormai abituati.


14
ottobre

GIANFRANCO FINI ESPLODE: MINZOLINI SI DIMETTA SUBITO, INTOLLERABILE FAZIOSITA’ DEL TG1

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini è sul piede di guerra e ha sete di vendetta. Al centro del mirino presidenziale c’è il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, reo di aver trasmesso due servizi poco graditi alla terza carica dello Stato durante il notiziario delle 20 di ieri. Di fronte al presunto sgarro giornalistico, il Presidente della Camera (o il leader di Fli, se preferite) si è infervorato sul serio e fatto sapere di essere pronto a tutelare la propria onorabilità nelle opportune sedi giudiziarie e professionali. Non contento, ha pure chiesto la testa pelata del Minzo.

Augusto Minzolini si deve dimettere subito per l’intollerabile faziosità del suo telegiornale. C’è un limite anche all’indecenza” ha dichiarato Fini, agitando il bavaglio.

La sua reazione, si diceva, è stata causata dalla messa in onda di due servizi del Tg1 che lo riguardavano. Nel primo di essi, intitolato “Fini nel mirino della maggioranza“, venivano raccolte le rimostranze del Pdl, che ha accusato il Presidente della Camera di aver dato “interpretazioni regolamentari non al di sopra le parti“. Nel secondo, invece, si dava spazio alle opinioni critiche del vicedirettore di Libero Franco Bechis sulla bocciatura dell’art.1 del rendiconto di Stato. Tutto qui.

Gianfranco Fini, tuttavia, ha percepito l’assemblaggio giornalistico del Tg1 come un attacco fazioso al suo operato. E dallo scranno presidenziale è partita la richiesta di dimissioni del giornalista. Ne è scaturito l’immancabile teatrino delle reazioni politiche, con il Pdl pronto a difendere a spada tratta l’amico Minzo ed il PD impegnato a rispolverare per l’occorrenza la suggestiva definizione di “Metodo Boffo“.