Che alla casa di Cinecittà ormai da tempo non si potesse più accoppiare l’appartenenza al genere reality lo avevamo scritto più volte, soprattutto a proposito di questa edizione del Grande Fratello, piegatosi alla logica della soap, stavolta come mai. Interesse per il gioco e per le eliminazioni marginale quasi fino alla fine, zero avventura e azione, parole e passioni presunte e amplificate all’inverosimile. Puntate quasi monotematiche, cast di medio livello ottimamente plasmato. Temi sociali praticamente assenti, probabilmente protagonisti solo nella quasi certa vittoria di Ferdinando, il coniglio dal cilindro che può creare l’ennesimo alibi d’oro al programma.
La ‘certificazione’ alle nostre riserve sulla possibilità di definirlo ancora come esempio di reality tv arriva proprio da Alfonso Signorini che, con l’autorevolezza di chi è coinvolto in prima persona, in una significativa intervista a Il Giornale, non ha espresso mezzi termini per fotografare la nuova realtà del Gf: “Certo che il Grande Fratello si tratta di una finzione, ma non fa nulla: nessuno crede che ci si possa innamorare di una persona e dopo due settimane di un’altra. L’importante per gli spettatori è la funzione catartica: basta crederci per quelle tre ore di svago.”
Analisi lucidissima, ragionamento che non fa una grinza. Saremmo totalmente concordi con il giudice monocratico del Gf nell’individuarvi quasi una forma postmoderna di tragedia greca se non ci assillasse il dubbio che non proprio tutti gli telespettatori siano riusciti a fare questo scarto critico. E con questo non vogliamo dire che davanti alla tv ci siano solo degli allocchi, ma basta vedere gli attacchi ai nostri post precedenti in cui ridimensionavamo le emozioni della casa per rendersi conto che il meccanismo di fruizione della televisione è maledettemante più complesso.