Che le parole d’ordine 63esima edizione del Festival di Sanremo fossero austerity e risparmio è cosa ormai risaputa, ma in compenso la kermesse canora si arricchisce di una nota dolente che finisce col rovinare uno spettacolo confezionato ad arte: lo scandalo e i fischi. Abbandonando i panni dell’intransigente Joe Bastianich in quel di Bastardchef, del team leader per eccellenza Briatore e “dimettendosi” dal ruolo di Papa Ratzinger, il monologhista Maurizio Crozza è pronto a irretire il Teatro Ariston con la sua satira graffiante e intelligente, ma tradendo una promessa da par-condicio: il parlare di politica.
E, infatti, a scendere la scalinata ipertecnologica del Teatro non è Maurizio Crozza, bensì la sua personale versione del Cavaliere che dispensa biglietti da 50 euro a destra e a manca a mo’ di Naomo di Panariello, divertendosi a più non posso, più o meno “da quando Alfano ha detto che il Pdl faceva le primarie”. Il “presidente” è incontenibile e si lascia andare immediatamente a un canzoncina ironica accolta da applausi, fischi e ingiurie che tuonano “Niente politica a Sanremo” e terribili “Fuori”. Crozza, per la prima volta in difficoltà e con gli occhi lucidi, è difeso da Fabio Fazio e dal suo invito alla moderazione, mentre fatica a ritrovare l’armonia e a inaugurare il suo monologo.
“Vendola o Monti? Questo è il dilemma” si chiede il Bersani-Crozza che, per cercare di riequilibrare le parti presi in causa, vira la satira anche verso Sinistra parlando dell’Ilva, delle liste proposte ai seggi e della scelta dei dirigenti. Immancabile poi un accenno alle dimissioni del Papa, all’ipotesi di una rivoluzione civile rimarcandone la natura ossimorica e citando i propositi di sollevazione di Ingroia, nuovo personaggio “crozziano” a calcare l’Ariston. Il monologo prosegue senza fischio ferire, ma rincuorato dal pubblico plaudente e da sonore risate: il Crozza di sempre è tornato (anche se ancora provato).