Brat Camp, una missione difficile, affrontata con molta superficialità: aiutare otto ragazzi “particolari“, quattro maschi e quattro femmine. Il tutto sotto l’occhio vigile della telecamera del nuovo docu-reality partito ieri sera su Italia 2.
Anthony, Marco, Carmine e Nicolò appartengono alla categoria dei “belli e dannati”, mentre Roberta e Annamaria (l’una un po’ maschiaccio, l’altra dalla chioma rosso fuoco) si candidano ad essere le “femmine alternative” del gruppo, insieme a Valentina e Alexa. Ognuno ha una storia complessa: un padre mancato troppo presto o un amico scomparso. Dalla sindrome di Peter Pan all’elogio del nullafacente, a Brat Camp ci si ritrova – più o meno senza accorgersene – a contatto con la natura delle valli bergamasche.
Si presuppone che deprivare questi ragazzi dei loro oggetti e tenerli occupati in attività alternative e sane possa aiutarli a migliorare la propria vita. Abbandonare o insistere? Essere o non essere? E’ questo il dilemma, ma qui Shakepeare non parla e, al suo posto, assistiamo a vite solitarie e a disperati disagi. Anche quelli del programma e degli autori. Il reality conta i giorni che i protagonisti passano nel campo, ma del tempo “interiore” e di suspense non c’è traccia.
Il montaggio insipido (e a volte brusco e ripetitivo) ”brucia” storie altrimenti interessanti, se raccontate con dovizia, attenzione e “dall’interno”, soprattutto. C’è spazio per tanta discontinuità, ancor più quando le telecamere si accendono sulle risse e poco sui perché di questi mondi interiori. Le schede di presentazione dei protagonisti seguono un ordine non meglio precisato. Come appaiono superflui i commenti-cliché delle famiglie dei protagonisti. Si percepisce molto l’assenza di un conduttore che, in qualche modo, tiri le fila del discorso, faccia il punto della situazione o che, semplicemente, racconti.
Assistiamo per lo più a conflittualità tra i ragazzi e tra questi ultimi e i 4 coach: l’educatrice Chiara Agosta – relegata a consigliera struccata e silente – insieme alla psicologa Susanna Imperatori quasi sparisce dal racconto. Le figure maschili Fabio Artese (capo scout) e Roberto Lorenzani – esperto di sopravvivenza – si fanno più evidenti nella prova della “perquisizione” che ha poco di extreme, onestamente. I ragazzi hanno dovuto liberarsi dai propri oggetti personali, dai propri accessori, liberi e pronti a buttarsi nella natura! Non senza qualche dissenso per la natura… del programma!
Brat Camp strizza l’occhio alle strutture televisive già viste a Wild e Mistero. Da quest’ultimo si è persino “rubata” la voce narrante, con risultati ancor più paranormali. Sembrerebbero esserci due diverse intenzioni all’interno del programma: da un lato la “voglia di trash” della macchina autoriale, dall’altra la volontà – più realistica e convincente, rappresentata dai coach – di “recuperare” questi ragazzi, consapevoli che sulle vite altrui è assolutamente vietato scherzare!
Chi aveva parlato di Brat Camp come della nascita di un nuovo filone “educational” su Italia 2 tornasse indietro a versare un barattolo di vernice nera su quel pensiero astruso!
1. Claudio ha scritto:
28 maggio 2013 alle 13:17