Dotato delle stesse fortune di Bruce Wayne, degli stessi addominali scolpiti di Taylor Lautner e della stessa abilità da arciere di Robin Hood, l’impavido Oliver Queen (Stephen Amell), alias Freccia Verde, ha conquistato tutti, dall’appassionato di telefilm d’azione alla ragazza colpita dalla sua avvenenza e dal suo sguardo enigmatico, dall’amante del thriller al nababbo che desidererebbe essere come lui. Ma Arrow, l’azzeccatissimo acquisto seriale di Italia1, non sembra possedere quell’inconfondibile gusto del già visto e del familiare?
Partiamo da un presupposto: almeno che la protagonista non porti l’apparecchio, inforchi un paio di pesanti occhiali da vista e si chiami Ugly Betty, quasi tutti gli eroi delle series americane hanno qualcosa in comune: un’intelligenza da far invidia a Isaac Newton e una bellezza che farebbe gola a Dorian Gray. La forsennata ricerca dell’edonismo e del dandismo perseguita da Wilde rimane una costante di questo e quel tempo, ma, in un mondo dove la mente e il corpo incontrano rivali ben più temuti come la disoccupazione o la progressiva sconfitta della meritocrazia, sarebbe rincuorante vedere questi prodi guerrieri abbandonare quell’aura di semidei per indossare i panni di comuni everyman della porta accanto. Oliver Queen (il cui interprete è in trattativa per il ruolo di protagonista nell’adattamento di Cinquanta sfumature di grigio) ha tutto quello che un ragazzo sogna di possedere e che una ragazza vorrebbe incontrare: il successo, la fama, la ricchezza, la prestanza fisica, l’intuito e la sete di giustizia. Sarà per questa perfezione velata rivolta a qualunque facoltà umana che il magnate della Queen Consolidated ha così tanto successo.
Dalle avverse condizioni di vita affrontate su un’isola deserta per quasi cinque anni, dove i discorsi al pallone Wilson di Cast Away sono rimpiazzati da flessioni ed esercizi con l’arco; dalla fantomatica lista dei criminali da abbattere secondo il terribile Verbo alla Death Note promulgato dallo shinigami Ryuk; da quell’aria di playboy degna degli ultimi eredi dei Dallas fino alle risorse milionarie custodite dal Cavaliere Oscuro, Arrow sembra essere il cocktail perfetto di una ricetta tramandata da anni e perfezionata sempre più fino ad arrivare all’aitante Freccia Verde.
Malgrado si ricerchi sempre la novità, quel qualcosa di nuovo e avvincente che riscatti lo spettatore dalla tediosità di una programmazione televisiva monotona e stantia, alla fine ad avere la meglio è proprio la classica vecchia storia dell’eroe e del suo viaggio, spacciata per ricetta inedita con la stessa maestria sfoggiata dalle mamme nel camuffare le verdure nei piatti da servire ai propri figli. Perché Arrow, malgrado una fotografia eccellente e una tensione coinvolgente, non è altro che questo: la dimostrazione di come la gente sia affezionata alle stesse cose di cinquant’anni fa (con qualche iPhone ed effetto visivo in più).
1. federico ha scritto:
26 marzo 2013 alle 13:33