E’ la bestia nera che governa la dura legge dell’offerta e della programmazione della televisione italiana, capace di ergersi a giudice inflessibile e decretare la chiusura o la definitiva consacrazione di questo o quel programma: parliamo dell’Auditel, scandagliato con studi approfonditi e numeri alla mano dagli studenti dell’Università Cattolica di Milano sotto la supervisione del Professor Giorgio Simonelli.
L’incontro che ha aperto la quarta giornata del Festival IMMaginario 3.0 di Perugia ha sottolineato il peso sempre crescente degli ascolti nelle dinamiche aziendali della tv generalista che si accompagna ad una perdita di una considerevole fetta di spettatori. Mattia Ferretti, giovane studente della Cattolica, ha parlato dell’abitudine di un pubblico altamente scolarizzato a non seguire determinati programmi televisivi. Il pubblico universitario, ad esempio, che corrisponde all’8% del campione preso in considerazione dalle logiche Auditel, si è dimostrato il più disaffezionato rispetto al palinsesto proposto dalla generalista, soprattutto nella fascia dalle 20.30 alle 22.30 della rete ammiraglia Rai.
“Tanto più il pubblico è scolarizzato, tanto più si disaffeziona alle proposte della tv. E’ come se i laureati e gli studenti non trovino il prodotto all’altezza del proprio bagaglio culturale”
recita severo lo studente.
L’incontro è poi proseguito ponendosi un interrogativo: quali sono i motivi per non credere all’Auditel e alla sua presunta verità? Daniele Banfi, laureando della Cattolica, individua i punti deboli del sistema a cominciare dall’esclusione nel panel degli immigrati, che sono 4 milioni e 500mila in Italia, e dalla mancata registrazione dei dati d’ascolto all’interno di locali pubblici come bar, ospedali, carceri e alberghi. Dal 1987 a oggi, secondo lo studio, l’Auditel non ha mai modificato nulla della sua iniziale impostazione, restando fedele ad un sistema che si definisce “trasparente” ma che in realtà “è restio a rispondere ad eventuali forme di confronto con quanti criticano i loro parametri, diventando da termometro a febbre della televisione“.
Auditel inaffidabile allora? Forse se solo i manager tv cominciassero ad interpretarlo con una maggior visione d’insieme non ci sarebbe nemmeno bisogno di porsi questa domanda.
1. Marco MDNA ha scritto:
25 novembre 2012 alle 12:30