È senz’altro una serie per intenditori: regimi narrativi lenti, plot minuziosamente spiegato, effetti speciali di alto profilo e una colonna sonora memorabile. Tutto questo è Battlestar Galactica, versione 2003: una delle serie sci-fi più premiate degli ultimi anni. Due Emmy consecutivi (2007-2008) per gli effetti speciali, un Saturn Awards nel 2006 e cinque nomination agli Oscar della tv per il 2009, fra cui la nomina ambitissima per la miglior regia di una serie drammatica.
Rai 4, con Battlestar Galactica, vuole garantire al suo pubblico un venerdì sera di qualità: la serie andrà in onda a partire dal stasera sul neonato canale Rai, in prima serata. Nota anche a coloro che non fanno parte della sci-fi sub-culture per essere un remake di successo della serie Galactica, targata 1978, Battlestar ha le potenzialità per uscire dal marchio “prodotto di genere” e approdare nella più ampia sfera di gradimento dei seriality-addicted.
Superato l’impatto psicologico di un pilota alquanto lento, è possibile osservare come la cruenta battaglia fra Cyclon e umani, non sia altro che metafora epica dello scontro socio-culturale attualmente in corso nell’America post 11/09. Se è vero che le serie tv non possono essere considerate lo specchio fedele della realtà, poiché ne trasmettono la versione mediata, né è chiaro il rapporto di causa effetto fra società e prodotti mediatici, è comunque impossibile negare i palesi riferimenti che Battlestar attua nei confronti della crisi di valori della società Usa.
Dopo il disastro dell’11 settembre c’è stato un evidente cambio di rotta nelle tematiche affrontate nelle serie tv: la morte, per dirla come Baudrillard, non è più semplice termine di contrapposizione alla vita. È vittima di uno slittamento simbolico alquanto accelerato nei confronti della concezione naturale della vita. La morte non è più assenza del soffio dell’anima nel singolo: è qualcosa di improvviso e inevitabilmente truce, che ha tragicamente assunto i contorni dell’evento di massa. Del genocidio.
Battlestar Galactica non è altro che il degno prodotto della nostra era: una serie dai profili malinconici che, nonostante l’ambientazione futuristica, riprende con ansiogena fedeltà problematiche contemporanee.
Ampio spazio all’interno della serie è dedicato al rapporto uomo- macchina: le tecnologie di cui dispone l’uomo, ne sono allo stesso tempo potenziale prolungamento e mistificante inganno. I Cyborg, prodotti di avanzata tecnologia terrestre, divengono spietati cacciatori fotocopia dei loro stessi creatori, gli essere umani.
Dopo 40 anni di tregua, i robot decidono di sterminare i loro padri: lo fanno giocando proprio sulla debolezza terribilmente umana di uno di loro, il Dott. Gaius Baltar. Caduto nella trappola dell’Agente 6, il professore si rende responsabile dell’estinzione dell’intero impero coloniale umano. Solo un’unità di poco meno di 48.000 persone sopravvive. Quella del Battlestar Galactica, che parte alla volta di una nuova colonia: la Terra.
La serie, seppure già mandata in onda da Sky, costituisce comunque un appuntamento all’insegna della qualità sulla Quarta rete di Mamma Rai. Soprattutto perché a far intrecciare abilmente i tasselli della sceneggiatura è Ronald D. Moore, già storico autore di numerosi script di successo per Star Trek.
1. Peppe ha scritto:
4 settembre 2009 alle 18:32