28
ottobre

CLAUDIO PALLITTO ANCORA ‘TAMARRO’ PER TUTTI I SANTI GIORNI

Claudio Pallitto

Per chi pensava che rimanessero meteore d’estate, emblemi del canto del cigno di quella televisione oltre i limiti che per un paio di anni ha impressionato le fantasie dei produttori di nuovi format, ci sarà una sorpresa, anche se dal gusto abbastanza ambivalente. Da Tamarreide con furore arriva sul grande schermo Claudio Pallitto, l’esuberante ragazzo romano che nel programma di Italia 1 si è distinto probabilmente come il personaggio più magnetico, capace di racchiudere, per natura o solo per gioco, la quintessenza del ‘tamarrismo’.

Se fosse entrato nella casa di Cinecittà prima che il viale del tramonto avvolgesse della sua ombra anche il reality di Endemol forse sarebbe diventato un personaggio molto popolare, non avendo nulla da invidiare ai vari veraci romani sfornati dal Gf nel corso delle sue edizioni. Per lui però arriva un’esperienza così importante come il cinema, con un esordio targato Paolo Virzì, una delle migliori teste del cinema italiano più contemporaneo.

Fosse una riedizione di Troppo Belli farebbe poco notizia, ma essere impressi nella pellicola diretta dal regista toscano, nonostante Tutti i Santi giorni non sia sicuramente la più ‘impegnata’, non è robetta da niente. L’istintiva comicità del suo fare e l’esagerazione che la sua mole e il suo slang si portano fisiologicamente appresso lasciano il segno, anche nella prima parte del film (in contrapposizione al protagonista, l’impacciato studioso di letteratura cristiana antica), tanto che viene da pensare, inizialmente, ad un sigillo di cera lacca sulla capacità di bucare lo schermo del personaggio.

E’ nell’evoluzione fuori scena del personaggio che però Virzì consegna il suo messaggio, senza troppo gridare ai quattro venti. Da personaggio simpatico, ‘tamarro’ ignorantello e brillante il ruolo interpretato da Pallitto si tinge pian piano di una carica negativa che di riflesso pensa a colpire un certo meccanismo della tivvù dell’esagerazione.

L’ultimo fotogramma in cui appare lo vede nel pieno di una scena di violenza nei confronti della moglie, all’apice del declino di un padre degenere, incapace di prendersi la responsabilità della famiglia e dei figli. Pochi frame dopo è proprio la moglie della fiction a rivelare che il manigoldo, fuggito di casa, sta per essere scritturato per una specie di Grande Fratello. Si dice il peccato ma non il peccatore, insomma.

Con un meccanismo intertestuale, non nuovo a Virzì che cita spesso la televisione recente nei suoi film (come quando la Sandrelli in ospizio in La prima cosa bella guarda appassionata Uomini e donne), e quasi in contemporanea con un altro film abbastanza duro con i reality come quello di Garrone, i registi esprimono nuovamente la loro condanna ad una stagione culturale di evasione che appare ancora più eccessiva agli storici detrattori, ora che il baricentro dell’attenzione mediatica si è frammentato o si è rivolto a temi del tutto diversi.

Quasi come una campagna per non dimenticare…Solo che anziché cercare la polemica a tutti i costi il regista dice la sua con un tono piuttosto soft, con sfumature che forse solo parte del pubblico riesce a cogliere. Qualcuno verrà fuori dal buio della sala avendo solo riso, qualcun altro si accorgerà che il suggerimento per la palingenesi è ritrovare il piacere della cultura e l’ingenua humanitas, proprio come Guido.

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1 Commento dei lettori »

1. MisterGrr ha scritto:

28 ottobre 2012 alle 18:18

Io amo i post di questo tipo di Cristian. Li amo. Non ce n’è.



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