Abbandonata la famigerata Casa degli Omicidi, i feti amorfi e i maniaci sessuali avvolti da un’attillata tuta in lattice, la seconda stagione di American Horror Story Asylum si svolge a Briarcliff Manor nel 1964, un ex ricovero per malati di tisi e ora adibito a manicomio per iniziativa della Chiesa Cattolica.
Ritroviamo la bravissima Jessica Lange, stavolta nei panni di Suor Jude, la serva di Dio che nega l’esistenza del disturbo mentale e cerca di redimere i pazienti dell’istituto, peccato che la sua concezione di fede sia alquanto discutibile; rivediamo Evan Peters che abbandona i panni del disturbato Tate per impersonare Kit, internato perché accusato di essere il serial killer Bloody Face e anche Joseph Fiennes che interpreta il direttore Monsignor Howard. Il dottor Arthur Arden (James Cromwell) crede, poi, che la pazzia umana sia insita nel lobo frontale e, per questo, sottopone a strazianti interventi i suoi pazienti fra cui Kit, che inevitabilmente intriga il pubblico per via della sua misteriosa storia.
Decisamente il tema della follia è ben più cupo e reale di una canonica villa abitata da fantasmi e Ryan Murphy e Brad Falchuk sono riusciti a non deludere le aspettative dello stuolo di fan ansiosi di seguire le vicende dei protagonisti che li hanno terrorizzati nel corso della precedente stagione. Montaggio serrato e rapido e una miriade di spunti di riflessione forniti su un piatto d’argento. Paura degli alieni, omofobia, ninfomania e razzismo sono solo alcuni dei temi sviluppati sullo sfondo dell’eterno conflitto tra fede e ragione che qui assume contorni macabri. Buona la prima, dunque, per la serie che ha esordito in Usa con un ascolto pari a 3.8 milioni di spettatori. Quando il manicomio di Briarcliff Manor invaderà i teleschermi italiani?
A dicembre, quando la serie sbarcherà su Fox pronta ad appassionare e inquietare il pubblico italiano, già affezionatissimo al prodotto che, se continua a mietere un successo del genere, non avrà problemi a incontrare un rinnovo per una terza stagione. Sarà così?