Metti al volante di un taxi-giostra un istrione dalle mille risorse come Marco Berry e fagli caricare in macchina l’italiano medio: lo spettacolo è assicurato. Sono questi infatti gli ingredienti di Cash Taxi che, nonostante questa semplicità di impianto, non è una genialata tutta nostrana ma un format ormai ben consolidato in molti paesi; in Italia è arrivato solo a fine aprile trovando spazio nella piattaforma Sky e potrebbe riuscire magari a baluginare agli occhi dello spettatore indaffarato solo adesso che il convento mediatico passa pasti scadenti e in porzioni risibili, causa ferie delle produzioni (dato che è un periodo fertile di sperimentazioni di game show non sarebbe male vederlo promosso in chiaro).
La formula mordi e fuggi gioca a favore della godibilità estiva del quiz, anche se la parte preponderante dello spettacolo è costituita da quella ignoranza agghiacciante in cui si crogiola gran parte del paese. Con l’escamotage di accompagnare gli ignari passeggeri a destinazione, il pilota Berry diventa un Gerry Scotti metropolitano, che tanto ricorda negli abiti il leggendario taxi driver di Scorsese, e toglie la maschera agli italiani svelandone l’essenza beona, con inevitabili effetti di comicità.
Colti di sorpresa come nella tradizione del candid show, ai concorrenti inconsapevoli vengono spiattellate una serie di domande (a cui corrispondono vincite da gratta e vinci di serie B al tabacchi) con la chimera di un montepremi massimo di duemila euro e il rischio (o meglio l’onta) di essere scaraventati per strada prima del capolinea desiderato ad inizio corsa, qualora il baratro culturale dell’interrogato segnasse il livello di massima allerta.
I giochini sono spesso banali problemini di logica o facili coinugazioni verbali che il furbo conduttore, mattatore indiscusso che deroga alla regole ogni volta che capisce che può costruire ameni minishow su un vezzo o su una lacuna dei malcapitati, usa magistralmente per far emergere le grandi carenze ora storiche, ora lessicali, ora grammaticali della gente comune.
Prima che concorrenti, sui sedili di pelle si siedono persone che con piccoli gesti raccontano la quotidianità, restituiscono icasticamente il ventaglio di situazioni sociali e umane che attraversano il nostro paese. Si va dal netturbino nostalgico che rimpiange la sportività di un tempo negli stadi e canta a squarciagola l’inno della Magica, debitamente sollecitato ovviamente, a uno dei tanti italiani che ha comprato il diploma alle private e non se ne vergogna più di tanto, dai pischelletti romani a cui fa comodo anche solo un bigliettone da cento euro ai suggerimenti bizzarri raccolti per telefono o sui marciapiedi (il quiz prevede infatti l’aiuto da casa e del pedone facendo il verso al quiz per antonomasia della televisione contemporanea).
I siparietti che si vengono a creare risultano gustosi e richiamano molto alla mente tutta la galleria di personaggi verdoniani e sordiani immortalati mentre danno il meglio di se stessi al volante. Il pregio del quiz sta proprio in questro ibrido tra il gioco e la realtà, tra l’effervescenza dei toni e la quotidianità dei vissuti. Sembra quasi rivivere le sensazioni che si provano sul tram o sul bus, microcosmi che emanano al meglio le fragranze di un popolo, con tutte le contraddizioni e le alternanze di ragioni e passioni che la tv contemporanea cerca sempre più di mostrare per conquistare un rapporto non mediato con lo spettatore. Come leggere altrimenti la favola di Susan Boyle se non come esempio di avvicinamento dell’uomo comune allo schermo?
1. Freak ha scritto:
25 luglio 2009 alle 00:14