Se Seneca predicava anni or sono un’arte come imitazione della realtà, l’ideale a cui ammiccano gli sceneggiatori americani si rifà piuttosto agli stereotipi dell’arte cubista: come la pittura abbandona l’imitazione della natura, e la realtà rappresentata diventa una sequenza indefinita di immagini e forme sovrapposte, la soap opera americana si sta sempre più astraendo dai canoni realistici e sobri che dichiara di perseguire (talvolta).
Il British Medical Journal nel 2005 ha condotto un’inchiesta approfondita sul numero di casi di coma che hanno coinvolto personaggi di soap nella finzione per più di 24 ore, dal 1995 al 2005, in 9 soap campione, tra cui Beautiful, Febbre d’amore, Sentieri e General Hospital, la fonte più accreditata (“Epidemiology and prognosis of coma in daytime television dramas”). Con un totale di 73 personaggi in coma in quest’arco temporale e con una media di 8 malcapitati in coma per soap, la ricerca ha in seguito definito l’evoluzione dello stato incosciente, o vegetativo in alcuni casi, sottolineando come le cose procedano diversamente rispetto a quanto non succeda nella vita ordinaria.
In media, il coma dei personaggi da soap dura 13 puntate, ma i dati più interessanti sono altri: l’86% degli attori che per esigenze sceniche finisce in coma si ristabilisce perfettamente, mentre soltanto l’8%, pari a 5 pazienti, non sopravvive. Ma attenzione. In realtà, di questi cinque casi, secondo l’inchiesta, solo 3 personaggi sono stati dichiarati realmente morti dopo il coma: le altre due erano morti inscenate, per far credere allo spettatore che il personaggio fosse morto, e per dargli la possibilità di ritornare dopo un po’ di tempo nella soap (il noto effetto “resurrezione” tanto caro a Beautiful).
Tirando le fila del discorso, la mortalità dopo uno stato comatoso nelle soap opera tocca a malapena un esiguo 4%, rispetto a un notevole 50% nella vita ordinaria. E se le condizioni di vita dei personaggi che escono dal coma non presentano difficoltà di carattere fisico o mentale, se non problematiche di locuzione, paralisi temporanea o naturalmente di perdita di memoria a effetto (Centovetrine ne sa qualcosa in questo periodo), nel palcoscenico reale, quello sui cui noi tutti lottiamo per la sopravvivenza, il 91% dei pazienti NON ritorna allo stato fisico e mentale precedente all’evento che ha procurato il coma, con invalidanti conseguenze permanenti sul fisico e sulla psiche.
Le soap potrebbero produrre nello spettatore aspettative di vita ben superiori alle reali possibilità di ristabilimento. Ma gli stessi sceneggiatori americani avvertono che non sempre le soap veicolano messaggi realistici, basti pensare che, a prescindere dal coma, i personaggi da soap muoiono ben più frequentemente della vita di tutti i giorni, date le continue storylines contorte e avvizzite.
La lunga serialità richiede sempre inventiva e colpi di genio, oggi a detrimento della qualità di pensiero e di realismo. E allora, visto che è in gioco la fidelizzazione dello spettatore, a poco importa che sia la realtà a cedere il passo alla follia. L’importante è esistere, sempre e nei secoli.
1. Biagio Chianese ha scritto:
20 luglio 2009 alle 12:16