Non è stato un gran bell’esordio quello di Pupo nel talent dedicato alla lirica Mettiamoci all’opera, capace di far sciogliere la glassa che cola abbondante su tutte le parole che si spendono nei giorni di festa. E’ sembrato l’ennesimo errore dei palinsesti del 2012, lenti a metabolizzare i segni del cambiamento di gusto e più inclini a incaponirsi sulla diabolica perseveranza nella superficialità.
Difficile poter negare che la soglia di saturazione del talent sia colma: fin che i marchi rodati riescono più o meno a tirare avanti bene, per il resto è meglio pensare ad altro. Gli strali più duri contro l’idea portata in scena da Pupo e Nina Senicar arrivano direttamente dalle pagine di Avvenire e Corriere della Sera:
Il giornale dei Vescovi ci va giù pesante, già dal titolo Raiuno, il varietà svilisce la lirica, affidando a Mirella Poggialini il commento:
“mescolare volenterosi talenti canori di varia origine all’intrattenimento forzatamente giocoso del varietà ha impoverito e non arricchito un programma che è apparso comunque raffazzonato e confuso, con intervalli, colori e piglio non adatti a sostenere le prove dei cantanti in gara, che un agitato Pupo presentava, insieme a Nina Senicar, con scarsa convinzione. [...] Ha sottolineato una volta di più l’ossessione della gara e dell’eliminazione che ha inquinato tante proposte televisive, con l’illusione di aumentare la tensione e l’attenzione del pubblico con risorse da patiti del videpoker”.
Critiche anche alla scelta dei giurati. Più in generale a destare i dubbi è la miscellanea tra lirica e varietà, come se fossero due atmosfere di ambienti troppo inconciliabili per incontrarsi (anche se forse la danza classica ad Amici ha, talvolta, dimostrato il contrario).
Non meno graffiante il giambo di Aldo Grasso contro Ghinazzi and company:
“Mettiamoci all’opera ha perpetuato il mistero di Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, in prima serata: protagonista di una conduzione impacciata, sembra che legga male il gobbo, sbaglia spesso le pronunce, fornisce spiegazioni e commenti al limite del didascalico. [...] Quando le idee sono stiracchiate la parvenza di una missione pedagogica non basta”.
Lapidaria sentenza, quest’ultima, grandemente veritiera: già da alcuni elementi il pout-pourri appare come uno zibaldone che annaspa cercando di tirar dentro elementi classici, per ammiccare al tema alto, e fenomeni più di costume, per acchiappare l’italiano medio, leggendaria entità dai contorni poco chiari. Il talent, la scelta di tenere in giuria Enzo Miccio accanto al soprano Chiara Bigi, il miscuglio tra arie e canzonette: si denuncia già da sé la percezione di accozzaglia.
1. Matteo ha scritto:
30 dicembre 2011 alle 16:17