Che lo stato di salute della vecchia televisione generalista fosse precario lo si era capito già da qualche tempo. Il clima di austerity piombato nel Paese con i macrocambiamenti che tutti abbiamo visto ha reso evidente qualcosa che stava covando da tempo, a partire dalla loro dieta mediale. L’approfondimento che batte le fiction, anche le più pop, il crollo generale dei numeri, il cambio dichiarato degli obiettivi di rete.
Secondo lo studio portato avanti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore le sei reti del duopolio (ed è giusto precisare che in questo studio non sono stati compresi i canali del digitale che fanno capo ai due colossi) hanno smarrito per strada quasi un quinto della loro forza. C’è sicuramente una rilevantissima moltiplicazione dell’offerta, così come delle tipologie di piattaforme mediali in concorrenza, ma l’alibi del crollo non può essere liquidato come fisiologica contrazione da proliferazione della scelta.
Se nel 2000 ‘Raiset’ si spartiva grossomodo il 90% dei telespettatori e degli investimenti pubblicitari, dopo 11 anni ci si attesta mediamente al 70%. Un dato ancora più severo sulla politica di gestione dei contenuti se si guarda più a fondo e in prospettiva. Risulta infatti che in questo nuovo quadro la popolazione con un livello culturale elementare costituisca il 30% del campione, appena il 5% invece per quanto riguarda i laureati.
Bocciatura totale, parziale se si considera la quota di quelli che si sono lasciati condurre a una migrazione interna verso i canali digitali di Rai e Mediaset, un eloquente messaggio all’appiattimento al ribasso su cui ha giocato la logica dei palinsesti. I ‘maliziosi’ del resto hanno sempre lamentato nell’anomalo intreccio tra le logiche della tv di Stato e del competitor privato un gioco al massacro per la salute del servizio pubblico non riuscendo a prevedere però che anche per Cologno Monzese non sarebbero stati tempi d’oro.
Se si moltiplicano le voci che rivorrebbero il Premier uscente Berlusconi in cabina di regia per un nuovo investimento di energie per le proprie aziende è il segnale che ai piani alti di Mediaset la spia dell’allarme si è accesa. A parte i fuoriclasse della rete in effetti ci troviamo davanti a una Rete 4 sempre più accartocciata su se stessa, a un Italia 1 stritolato dalla crisi d’identità, ad una Canale 5, sempre meno ammiraglia.
Se si dovesse procedere con la rapidità dell’ultimo anno, in cui si è registrato un calo medio del 4% negli ascolti, nel giro di poco tempo, complice il completamento del processo di digitalizzazione delle frequenze delle regioni italiane in cui si trasmette ancora in analogico, si potrebbe arrivare, almeno per le reti non ammiraglie, ad un allineamento generale di share frammentato. Già non si contano i casi di inabissamento al di sotta delle quote d’allarme rosso.
Allarmante anche il reportage sul canone. Dal 2006 al 2011 si sarebbe passati dal 26% al 43% con un drammatico exploit nelle regioni meridionali, capaci di far balzare la quota di inadempienti al pagamento fino all’87%. E se l’Europa deve essere ancora il riferimento dobbiamo confrontarci con un tasso medio dell’Ue che è fermo all’8% di evasione.
Fiorello e Saviano sono solo le eccezioni che confermano la regola e che rendono ingiustificabili tutte le scuse sul crollo che rifiutino una piena responsabilizzazione dei creatori dei palinesti?
1. luke ha scritto:
28 novembre 2011 alle 11:49