La santificazione di Fiorello mi sta disturbando. Tutti pronti a salire sul carro del vincitore, tutti solerti nell’osannazione del protagonista, tutti (o quasi) poco attenti ad un’analisi più approfondita del successo de #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend.
Eh già, perchè di successo si tratta e nessuno ha mai messo in discussione una ’superiorità’ insita nel nuovo programma di Rai 1, seppur con alcuni limiti che non potevamo non sottolineare. Un successo accostabile a quello di Vieni Via con Me, e facilmente rintracciabile in un desiderio, forte, del pubblico che, se con Fazio e Saviano aveva voglia di ascoltare qualche voce ‘fuori dal coro’, adesso è desideroso di guardare uno show con il quale, finalmente, si faccia del sano spettacolo e si mettano da parte tutti quegli abominevoli clichè che da tempo, troppo tempo, dominano la televisione nostrana.
Ed il problema è tutto qui: la televisione di Fiorello non deve, anzi non dovrebbe, rappresentare una piacevole anomalia, ma piuttosto essere la norma. E se fosse la norma, non ci ritroveremmo a dover far i conti, ogni giorno, con pagine di televisione da prendere, stracciare e non ricordare mai più.
La colpa, in questo caso, non è certamente del pubblico ma di chi, nella sala dei bottoni, ‘predica’ austerity, pretende di realizzare programmi con budget quasi risibili e ritiene, poi, di non dover fare i conti con ascolti risibili quanto i budget. Che senso ha, dunque, ‘brindare’ al successo dello show di Fiorello se prima non si prende contezza del fatto che investendo su artisti con la A maiuscola e budget all’altezza degli obiettivi, i risultati, poi, non tardano ad arrivare?
Questa anomalia dovrebbe essere la normalità.
1. david ha scritto:
22 novembre 2011 alle 17:51