Non ci sono più alibi, dobbiamo persino scomodare il celebre riferimento di Cicerone a Catilina. Gli abbiamo concesso più di una puntata per valutare con serenità la sua aspirazione ad essere iena. Ma ora, a distanza di un mese, ci sembra di poterlo affermare con tutta sicurezza: Enrico Brignano come spalla di Ilary Blasi non è per nulla in linea con il profilo televisivo che Le Iene si sono storicamente ritagliate.
Il programma conquista una buona fetta di pubblico ma solo per merito di una bella impostazione editoriale: sono i servizi a convincere, o per la loro intelligente leggerezza, o per il gustoso connubio tra inchiesta e pepe, oppure per il formidabile documentarismo che rivela microcosmi ignorati ma drammaticamente vivi.
Con tutta la buona volontà del mondo, Brignano più che una iena può essere al massimo un panda. Anche in un monologo come quello di stasera formalmente adatto a fare da contorno alla provocazione di Filippo Roma sull’eliminazione dei vitalizi ai parlamentari il discorsetto comico non è incisivo, o meglio non fa rima con lo sprint dei colleghi più navigati in abito nero.
Non che Luca Argentero sia riuscito a dare il fatidico graffio convincente, ma il suo compito è più semplice: il bel visino, qualche battuta recitata in maniera abbastanza sobria e via. Niente di trascendentale per carità, è da rivedere anche la sua posizione in ottica di rimpiazzo definitivo di Luca Bizzarri e Paolo Kessissoglou.
I monologhi di Brignano trasudano inevitabilmente la traccia originaria della sua nascita televisiva. Se le peripezie delle domeniche d’agosto sull’asse Ladispoli-Ostia risultavano anche gustose sotto il filtro della narrazione accorata del comico romano, la gag o la riflessione a sfondo politico non è altrettanto dirompente. Davanti all’abbacchio Enrico si muove decisamente meglio che dinanzi alla crisi economica. Il suo humour racconta meglio un prelato pacioccone di campagna che un prete sotto accusa di quartiere.
L’appello alle teste di casco, così Brignano ha appellato i black-block, così come il frullato di populismo e antipolitica di stasera hanno fugato ogni dubbio sulla possibilità di crescita, sui margini di adattamento all’habitat di Parenti: il caro Enrico, con tutto il rispetto umano che si può volere ad un professionista garbato ed umile, ha una vocazione più da varietà per famiglie.
Il taglio giovanilistico, o simil tale, delle iene non riesce ad esaltare la sua vocazione più proiettiana che luttazziana, se dobbiamo agire citando dei riferimenti. Per cantarle a Scajola, come ha fatto nell’ultima puntata, ritritando il tormentone della casa misteriosamente sovvenzionata da sconosciuti, ci vuole un altro piglio e un altro ritmo se si indossa la cravatta nera e si è su Italia 1.
1. Dimmidisi ha scritto:
3 novembre 2011 alle 04:20