Tre metri sotto terra. I dittatori finiscono tutti così, in una buca. Nascosti tra le macerie dei loro regimi, braccati come conigli. Stavolta tocca a Muammar Gheddafi, il leader libico che fino all’altro ieri andava a braccetto coi paesi occidentali. Il Rais con la faccia stropicciata ha le ore contate: i ribelli e le forze internazionali gli stanno infatti dando la caccia da giorni e pare lo abbiano ormai circondato. Manca poco e lo acchiappano. Intanto lui fugge, si dilegua tra un bunker e l’altro, e affida alla televisione una compilation di messaggi rivolti ai suoi fedelissimi. Un copione che ci ricorda tanto quello inscenato da Saddam Hussein nelle settimane che precedettero la caduta del suo regime.
Nel 2003 le scorribande criminali del dittatore iracheno volgevano ormai al termine per mano degli Alleati occidentali. Ma guai a mostrare il petto sanguinante: dai suoi nascondigli sotteranei, Saddam rilanciava in tv un’immagine eroica ed incoraggiante di sè. Dagli schermi dell’emittente libanese al-Hayat annunciava: “la vittoria è vicina“. E ancora, a pochi giorni di distanza: “L’unica soluzione è quella di resistere all’occupazione per mezzo della jihad“. Il piccolo schermo usato come ultima arma di massa a disposizione del despota baffuto. La tv come piazza mediatica da rimepire con proclami di illusione e terrore: “altri soldati stranieri moriranno. Combatteterli è un compito legittimo, patriottico e umanitario“.
Oggi il rebus geopolitico porta la nostra attenzione in Libia. E anche lì, con un parallelismo inquietante e diabolico, troviamo riproposta la teatrale farsa del Raìs che tiene duro. Sono settimane che di Gheddafi non si vede nemmeno l’ombra. Il leader libico è indebolito e in fuga. Ma l’altro ieri la tv è tornata a far sentire la sua voce. “Bisogna resistere e scacciare questi ratti nemici che saranno sconfitti con la lotta armata” ha tuonato il dittatore, incitando i suoi alla jihad. Come aveva fatto Saddam. Davanti al televisore il mondo intero assiste agli ultimi giorni di un regime trentennale, e ne osserva ritratti i due volti.
Da una parte l’ologramma di una dittatura tenuta in piedi da un gruppo di agguerriti sostenitori. Dall’altra la cronaca della guerriglia proposta dai network internazionali. Questi ultimi, in particolare, seguono da mesi le vicende libiche ma sono spesso incapaci di raccontarne con chiarezza gli sviluppi. La Libia, infatti, è solo un tassello dell’ampio puzzle mediorientale che si sta delineando con la cosiddetta Primavera Araba.
Laggiù c’è un gran fermento, che a volte la tv ci spiega solo a metà. Tra la fine di Saddam e quella di Gheddafi ci sono somiglianze mediatiche e politiche molto interessanti. C’è come un filo rosso che si snoda tutto sottotraccia. Anzi, sottoterra.
1. Giuseppe ha scritto:
28 agosto 2011 alle 16:36