10 giugno 1981, Alfredino Rampi cade in un pozzo artesiano a Vermicino. 20 Aprile 2011, il corpo di Melania Rea, trafitto da 35 coltellate, viene ritrovato a Ripe di Civitella in provincia di Teramo. Due tragici eventi apparentemente lontani tra loro per luoghi, tempi e dinamiche, ma in realtà molto più vicini di quanto si possa pensare. Le morti di Melania e Alfredino, oggi come ieri, scuotono l’opinione pubblica e incollano davanti alla tv milioni di spettatori. A far loro compagnia nel corso di questi trent’anni: Simonetta Cesaroni, Marta Russo, Elisa Claps, Samuele Lorenzi, Tommaso Onofri, Chiara Poggi, Meredith Kercher, Denise Pipitone, Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e tanti altri ancora. Eroi per caso, balzati agli onori della cronaca nel peggiore dei modi, in un’evoluzione sempre più sensazionalistica del mezzo televisivo.
Una deriva che sembra aver preso il via proprio il 10 giugno di trent’anni fa con la tragedia del piccolo Alfredino. La sua terribile morte ma soprattutto le lunghissime 63 ore passate nel vano tentativo di portarlo in salvo rappresentano una delle pagine più tristi della televisione italiana. Una storia in cui eroi e sciacalli, generosità e cinismo, informazione e fiction, autorità dello Stato e venditori di bibite e panini, si mescolarono tra loro fotografando, in unica istantanea, il meglio e il peggio del nostro Paese. L’Italia intera seguì la vicenda con una partecipazione fuori dall’ordinario. Una diretta televisiva ininterrotta di 18 ore, la più lunga che si fosse mai vista fino allora, con un’audience stimata di oltre 21 milioni di spettatori.
Una telecronaca che ha segnato una svolta irreversibile nella televisione italiana infrangendo per la prima volta il tabù della morte in diretta. Da quel momento, caduto ogni pudore, molte altre saranno le incursioni della tv su drammi e tragedie. La diretta di Vermicino rappresenta la prima combinazione tra generi televisivi differenti. Nasce ufficialmente quello che oggi tutti quanti chiamiamo Infotainment. Una fusione d’information ed entertainment che porta il giornalismo a diventare più popolare e attraente nel sempre più concorrenziale mercato televisivo. Lacrime, strazio, dolore, la continua ricerca dello scoop in diretta e di quel sensazionalismo fondamentale ai fini degli ascolti riempiono indistintamente i palinsesti della tv pubblica e privata. Un dato per tutti: la percentuale di cronaca nera, che nei telegiornali dei paesi europei è del 4%, in Italia si triplica arrivando al 12%.
Da Vermicino in poi, le tragedie diventano un inquietante ma allo stesso tempo emozionante reality costruito sulla sofferenza altrui. Uno show che non sembra portare alcun rispetto per la vita e le persone, per il loro dolore e per la realtà degli eventi. Un circo mediatico al quale sarebbe opportuno mettere fine o quantomeno porre un freno. A fare il primo passo dovrebbero essere gli stessi telespettatori, iniziando a rifiutare certe spettacolarizzazioni del dolore e tornando a riscoprire il valore della vita. Un risveglio di quei sentimenti che spesso assopiti, portano a un’insensibilità tale da far ascoltare e accogliere come se nulla fosse, notizie che un tempo avrebbero fatto a dir poco rabbrividire.
Un segnale di rispetto per noi stessi e ancor prima per le tante vittime, come il piccolo Alfredino, il cui sorriso a distanza di trent’anni appare ancora intatto nella lapide del Cimitero Verano di Roma, a pochi passi dalla tomba di Marta Russo. Accomunati da una tragica fine e da una popolarità postuma, per i due eroi per caso, entrambi classe 1975, il destino ha riservato una magra consolazione. Un posto tra le personalità celebri nel cimitero monumentale della Capitale.
1. Eugenio ha scritto:
21 giugno 2011 alle 14:55