In un certo senso la soppressione del programma di Sgarbi è una novità. Parlando di prima serata e dintorni, andando indietro con la memoria, mi viene in mente solo il quiz preserale di Mediaset condotto da Amadeus che, nel 2006, venne soppresso per scarsi ascolti. La causa di altre soppressioni (e ce ne sono state parecchie) risiedeva in ben altre questioni che poco hanno a che fare con l’industria della televisione e la conseguente necessità di far contenti i pubblicitari.
Un 8% su Rai Uno in prima serata è una debacle assoluta, l’incubo di tutti i presentatori, l’umiliazione più grande. Ma in Rai non sono mai stati degli sprovveduti: fino a qualche tempo fa (non molto per la verità), prima delle direzioni disastrose che, speriamo, si siano concluse (almeno per il momento), non si producevano programmi di sicuro insuccesso come quello di Vittorio Sgarbi. Un programma in prima serata sull’ammiraglia della Rai è, di solito, parecchio costoso. Si sa che gli investimenti importanti sono, appunto, degli investimenti, quindi devono rendere in termini economici più di quello che sono costati. Ma fare un investimento che abbia lo sperato ritorno, in televisione come ovunque, non è cosa semplice e richiede un attento studio del prodotto. Anzi, si può dire che un prodotto televisivo ben fatto e redditizio richieda, in termini di tempo e lavoro, quasi più impegno della realizzazione del prodotto stesso. Un buon produttore sa che spendere soldi prima ne farà risparmiare parecchi dopo.
Detto tutto ciò la domanda che nasce spontanea è: chi ha potuto solo pensare che “Ci tocca anche Sgarbi” potesse essere un successo? È certo che il pubblico di Rai Uno sia piuttosto anziano, ma da quando in qua anziano è sinonimo di imbecille? Il fatto che il pubblico ami le fiction con Terence Hill, Ballando con le stelle piuttosto che Sanremo, non significa che sia disposto a sorbirsi due ore di monologo sgarbiano. La televisione ha delle regole precise, non si può improvvisare.
Uno show in prima serata, per quanto condotto da un oratore (?) e non da un anchorman, deve rispettare dei climax, degli appuntamenti emotivi (che possono anche essere delle risate, perché no?) che permettano al pubblico di appassionarsi. È l’ABC di qualunque programma, anche di quello meno riuscito. Anche “Il senso della vita” di Paolo Bonolis non è stato premiato dagli ascolti ed è evidente che qualcosa non abbia funzionato, ma è indubbio che non ci sia stato nessun presuntuoso sovvertimento delle regole televisive.
In “Ci tocca pure Sgarbi” la sola cosa evidente è la presunzione del suo conduttore che ha creduto che la sua presenza scenica fosse sufficiente per ignorare le regole dello spettacolo. Sgarbi si è difeso sostenendo che il pubblico abbia rifiutato la cultura, l’arte e la letteratura. Si è difeso dicendo che ha vinto la televisione pruriginosa di Chi l’ha visto e ha perso Pasolini, ma non gli è venuto in mente che il problema non è Pasolini, ma chi e come ne parla?
L’uomo più autoreferenziale della nostra televisione, ha mai il vago dubbio di non essere simpatico? Per mettere la propria faccia davanti ad una telecamera e, soprattutto, per restarci, è necessario prima di tutto essere credibili. E Sgarbi, evidentemente, non lo è. La sua presenza televisiva, negli ultimi anni, si è limitata a delle urlanti ospitate che hanno alzato lo share di qualche arena televisiva, non di più.
Indubbiamente è un uomo colto e intelligente ma, di contro, è arrogante e presuntuoso, con un ego che lo precede di chilometri e questo, in televisione, non paga. “Ci tocca pure Sgarbi” è un programma di Sgarbi, con Sgarbi, con i contributi filmati di Sgarbi e con le opinioni di Sgarbi. Quindi è stato un investimento, costoso, su Sgarbi.
La mia speranza e quella di molti è che la Rai cominci ad investire seriamente, usando i guadagni dei programmi di accreditato successo per produrre idee nuove, nuovi stimoli che consentano alla nostra televisione pubblica di avere ancora lunga vita davanti. Il pubblico ha dimostrato in più occasioni di non essere così ingenuo come si vuole far credere e lunedì sera ne ha dato l’ennesima prova. E poi, in un periodo storico come questo, le famiglie che guardano la televisione sono le stesse che, spesso, fanno fatica ad arrivare a fine mese. Famiglie composte da persone che si sentono ingannate quando la televisione con cui sono cresciute butta i loro soldi dalla finestra per realizzare programmi come quello di Sgarbi. È necessario che si apra una nuova era televisiva. Io ho fiducia.
1. PeregoLibri ha scritto:
20 maggio 2011 alle 15:57