Concludiamo il nostro viaggio all’interno dei testi delle canzoni in gara per i big al Festival di Sanremo, passando al secondo gruppo di artisti che comprende anche gli eliminati:
Anna Tatangelo: voto 4 e mezzo. Il titolo forte, Bastardo, non riesce a rialzare il tono della canzone dal solito pistolotto melodrammatico. Si ritorna sulla falsa riga di qualche edizione fa a Marcella Bella che già cantava di questo amore per un uomo bastardo. Le solite rime dolore-amore, sento-momento e il solito repertorio verbale (gridare-morire- amare- credere-pregare). Niente di nuovo sotto al sole.
Davide Van De Sfroos: voto 7. Coraggioso e innovativo. E’ la canzone dialettale dell’anno e per una volta non si gioca con la merolata napoletana. Al comasco Davide Bernasconi non manca certo la fantasia e appare positivamente sperimentale il suo lavoro. Yanez non è altro che il trasferimento immaginario dei personaggi di Salgari sulle rive dell’Adriatico, con Sandokan che diventa un bagnante con infradito, costume della Billabong e pedalò che la sera canta Romagna mia in una pizzeria della riviera.
Roberto Vecchioni: voto 8 e mezzo. Il professore colpisce nel segno e porta un brano provocatorio e attualissimo. Gli operai in cassa integrazione, la cultura ridotta a brandelli (il poeta che non può più cantare come nelle poesie crepuscolari), i ragazzi che in strada contestano la riforma universitaria difendendo il sapere: ecco i protagonisti della sua canzone. Il suo volutamente ripetitivo e semplice Chiamami ancora amore, con la sua allusione ai giochi retorici di Umberto Saba, è un canto alla resistenza, a riscoprire la forza dell’umanesimo contro i signori del male fino alla disperata considerazione che questa maledetta notte dovrà pur finire in questo sputo d’universo.
Gli eliminati:
Anna Oxa: voto 6 e mezzo. Spiazzante come da tradizione. Il coraggio di inserire il dito medio in una canzone che trasuda disillusione ma anche profonda fiducia nell’umanesimo. Il mondo come favola vuota ha un riferimento colto nell’Alcyone dannunziano. Immagini crude e niente melassa sentimentale.
Max Pezzali: voto 5 e mezzo. L’emancipazione dal giovanilismo e il tentativo di dipingere con realismo l’essere quarantenne. L’operazione restyling di Pezzali riesce forse solo a metà. Apprezzabile il ricorso a immagini poco solenni e molto quotidiane ma manca la zampata vincente. Linguaggio realista come nella sua tradizione ma si poteva creare qualcosa meno effimera.
Patty Pravo: voto 6 e mezzo. Venti minuti d’amore- il leit motiv della canzone è una visione molto disincantata del rapporto di coppia. Il sesso come un consumo qualsiasi, come se fosse un caffè o un programma televisivo. L’illusione di confondere il vento con le rose, chiari simboli di sesso e amore con la consapevolezza mai tragica che la vita dell’uomo è una continua ricerca di soddisfazione edonistica.
Tricarico: voto 7 e mezzo. Testo semplice ma fuori tema . Il preteso dei colori della bandiera italiana come sfondo al gioco di un padre e di un figlio che fanno la battaglia con i soldatini. In questo caso il linguaggio volutamente eroico e solenne e gli alti ideali retorici della patria si adattano bene allo stile del testo: una ballata che essendo rivolta ad un bambino ha bisogno di immagini semplici e di valori roboanti. Nell’anno della celebrazione dell’Unità è veramente un’iniziativa carina, almeno sul piano teorico. E poi c’è quel verso- quelli nella nebbia hanno una bandiera verde- già oggetto di polemica, che potrebbe essere una frecciatina sagace.
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