11
agosto

AMORE CRIMINALE, MEGLIO TALK CHE DOCUFICTION: PUNTATA SPECIALE DEL PROGRAMMA CONDOTTO DALLA RAZNOVICH

Amore Criminale, Camila Raznovich

Amore criminale, ovvero amore che cambia faccia e diventa morte, violenza, persecuzione. Il concetto di fondo della trasmissione di Raitre (Martedì 10 agosto, ore 21.10) è chiaro, tanto quanto le immagini e il linguaggio adoperato.

Il programma, condotto dalla brava Camila Raznovich, racconta storie di donne vittime di violenza coniugale e non da parte di uomini senza scrupoli, e lo fa attraverso la modalità televisiva della docufiction: in altri termini, si ricostruiscono le varie storie attraverso le testimonianze dei diretti protagonisti (a volte, la stessa vittima fortunatamente sopravvissuta) alternando filmati originali ad altri recitati con l’ausilio di attori. Il risultato è quindi una sorta di film molto realistico: le immagini sono spesso crude e a volte si ha l’impressione che si calchi un po’ la mano, anche a causa della musica di sottofondo che tende a drammatizzare ulteriormente il racconto.

Tuttavia, la puntata speciale di “Amore criminale” andata in onda ieri sera è risultata un po’ più leggera delle precedenti e ciò grazie ad una piccola ma importante modifica all’interno del programma: le due storie (ad esito positivo) presentate dalla Raznovich sono sempre state riscostruite attraverso la modalità della docu-fiction, ma alternate e poi concluse da un sobrio ed interessante talk-show con le dirette protagoniste. Questo piccolo spazio ritagliato all’interno del programma e lontano dal clima ansiogeno dei filmati, ha permesso alle due donne protagoniste di raccontarsi veramente, di spiegare le ragioni che le hanno spinte ad allontanare l’uomo che le ha perseguitate, di mostrare quanto ancora sia difficile la guarigione morale da una ferita così lacerante. Concetti ed opinioni difficilmente spiegabili nei soliti filmati, dove predominano la crudezza delle immagini e le lacrime dei protagonisti.

Più spazio alla potenza delle parole e meno a quella delle immagini e forse il programma sarebbe più godibile e trasmetterebbe meglio il messaggio di fondo. D’altra parte, raccontare la violenza dell’uomo con la “violenza” delle immagini non è necessario, si può ugualmente affrontare tematiche scottanti con uno stile misurato e non aggressivo. Da questo punto di vista, “Amore criminale” è già a metà della strada, perchè ha tra i suoi pregi una conduttrice molto garbata ed un’estetica molto gradevole.

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3 Commenti dei lettori »

1. samuelemaurino ha scritto:

11 agosto 2010 alle 17:25

Insieme a “wild” secondo me è l’unico programma decente di quest’estate televisiva….ottimo anche a mio dire nell’alternanza tra filmati e talk e con una conduzione splendida!



2. filippo ha scritto:

12 agosto 2010 alle 00:01

programma a dir poco sessista e femminista che racconta una sola faccia della medaglia



3. Lella ha scritto:

12 agosto 2010 alle 22:15

Sono la presidente del Telefono Rosa di Torino e desidero scrivere a proposito del programma intitolato “Amore Criminale” in onda su Rai Tre. La programmazione del ciclo di trasmissioni risponde certamente all’esigenza di portare all’attenzione del grande pubblico il tema angosciante e certamente terrificante della violenza contro le donne.Gli stessi fatti accaduti negli ultimi mesi dimostrano che, molto vicina alla quotidiana violenza fisica, psicologica o sessuale, esiste una violenza omicidaria che a quanto pare travalica ogni analisi sociale o psicologica.
Mai come in questo caso la prevenzione appare difficile, se non impossibile. Probabilmente, nelle intenzioni degli autori del programma, c’è stato anche l’intento di realizzare documenti che, tra fiction e reality, potessero mostrare al pubblico televisivo le dinamiche più agghiaccianti, quelle che precedono, sovente, la gravissima e a volte mortale aggressione nei confronti della vittima di turno.
Insieme a questo lodevole intento, non ho problemi a comprendere che una programmazione televisiva debba anche avere margini di interesse, tensione, mordente tali da interessare il pubblico. In fondo, ogni programma viene valutato dagli indici di ascolto che garantisce. E’ la legge della comunicazione: e anche gli spazi di social time non possono disattendere un elemento necessario per una programmazione che interessi le emittenti, pubbliche o private che siano.
Fatte queste ovvie e doverose premesse, nasce in me un dubbio lacerante. Gli approfondimenti proposti possono incollare allo schermo spettatori attenti e partecipi, amanti del noir, individui interessati ad un approfondimento di dinamiche sociali di grande impatto. Ma possono anche veicolare verso la visione coloro che invece hanno già fantasie di dominio, possesso o persecuzione nei confronti di una donna. Persone il cui equilibrio può essere definito così precario da apprendere dai contenuti della fiction o dei fatti reali raccontati nel programma comportamenti ancora più sadici, oppressivi, violenti.

Molta cronaca, ma l’assenza di un commento o di un approfondimento (forse non così interessante dal punto di vista televisivo, ma utile ad identificare i precursori del comportamento violento) rende l’intero programma privo di quel momento esplicativo, detensionante e di approfondimento che colloca la vicenda non tanto legata al singolo “caso”, quanto a realtà che giorno dopo giorno coinvolgono numeri sempre maggiori di vittime e di perpetratori.
Io che, come le tante altre volontarie dei Centri Antiviolenza, convivo quotidianamente con storie di straordinaria follia, devo pensare che la fiction possa addirittura costituire una forma di involontario addestramento per coloro che, incanalati in forme di pensiero ancestrale e violento, prendano le storie come esempio per la propria,storia futura..

Oppure, temo seriamente il rischio che l’impatto emotivo delle scene viste e delle storie raccontate possano destabilizzare ancora di più coloro che hanno un equilibrio personale già piuttosto fragile.
Non intendo censurare: ma sollecitare autori e produzione ad una riflessione sull’opportunità di ampliare i confini del programma eliminando le componenti di maggiore tensione emotiva a favore di spiegazioni accurate. Soprattutto su come le dinamiche rappresentate non facciano parte dell’orizzonte della violenza patologica o definibile psichiatricamente come malata, ma come i processi di pensiero possono ideare la violenza: fino a renderla poi spietatamente reale.



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