Un direttore di telegiornale, come un arbitro di qualsivoglia sport, fa bene il suo mestiere quando non è protagonista della scena. Ad Augusto Minzolini stare nelle retrovie non piace proprio, nonostante a lui sia affidato il compito di dirigere l’organo di informazione che per buona norma dovrebbe essere la fonte più oggettiva di comunicazione politica ai cittadini, una garanzia di trasparenza.
Sin dal suo esordio non ha mai avuto timore di rivelare palesemente da che parte stava e chi lo aveva voluto alla guida del Tg1. I suoi editoriali non sono mai passati inosservati, ma l’apice della contestazione è scoppiato con l’ultima presa di posizione. Una frecciatina alla magistratura ma soprattutto un equivoco (involontario?), che ha scatenato una raccolta firma per chiedere ai vertici di prendere provvedimenti, almeno con una rettifica a proposito del reato di corruzione a carico di Mills, prescritto secondo la giurisprudenza, assolto secondo Minzolini. E la differenza non è affato di poco conto.
Come se non bastasse a rendere già delicati gli equlibri, arriva un’ennesima ombra a complicare la credibilità dell’informazione del primo canale. Ancora una volta sono protagoniste le intercettazioni, poco gradite allo stesso Minzolini, pubblicate dal Corriere che svelano un rapporto di grande confidenza con Anemone e Balducci, al centro dello scandalo corruzione; soprattutto con il secondo degli indagati, per il quale si è speso per la promozione all’interno del telegiornale del film in cui recitava il figlio. Non si configura nessun reato nelle registrazioni, sia chiaro, ma è l’ennesima gocciolina che potrebbe far traboccare il vaso in questa situazione così serrata in cui i conflitti istituzionali sono all’ordine del giorno e la sensazione di un continuo sottoterra poco limpido tra le oligarchie di potere comincia ad infastidire pesantemente la gente comune.
In tutto questo il commento più brillante è sicuramente la satira di Max Paiella a Parla con me, così caustico nei confronti del direttore da ritrarlo quasi come quei cantori di corte rinascimentali, costretti ad adulare il mecenate per sbarcare il lunario. A far da base al suo ‘panegirico cortigiano’ però nessuna cetra o arpa, bensì la canzone di Riccardo Cocciante Margherita, già parodiata nell’inizio che diventa: Io non posso stare fermo con il vulnus nelle mani, devo far l’editoriale prima che venga domani. E se Fede sta dormendo io non posso riposare…
L’ironia si sa è spesso l’arma migliore per rispondere con intelligenza, ma la riscossa democratica contro questa gestione dell’informazione pubblica continua con la raccolta di firme che ha come immagine ideale di riferimento, con una certa dose di nostalgia, il celebre mezzo busto di Enzo Biagi, mai rimpianto da chi crede ancora nel dovere della televisione pubblica.
1. hannah ha scritto:
5 marzo 2010 alle 18:59