Sembra quasi che gli autori lo sapessero, che avessero previsto tutto, soprattutto i tempi: la quinta stagione di The Crown rappresenta l’incoronazione mediatica di Re Carlo III, in attesa di quella concreta, che avverrà il prossimo 6 maggio. La serie Netflix, sempre feroce nei confronti della Famiglia Reale e da sempre criticata dai suoi membri, stavolta ha reso un grande servigio alla Corona, riabilitando l’immagine del nuovo sovrano e facendolo splendere per forza, caparbietà, modernità, spirito di adattamento e raccontando l’uomo che c’è dietro.
Già la scelta dell’interprete è stata indicativa: a prestare il volto a Carlo nell’età della maturità è Dominic West, attore affascinante, prestante, che tiene la scena e che fa del suo personaggio la stella che nella vita reale non ha mai particolarmente brillato, oscurata da luci ben più forti. Ci riferiamo alla Regina Elisabetta II e a Lady Diana, naturalmente, che qui passano inesorabilmente in secondo piano.
Diana, che stavolta ha il viso della somigliantissima Elizabeth Debicki, viene messa in scena come una donna talvolta leziosa e molte altre rancorosa, pettegola, facilmente manipolabile e tendente al patetico; del carisma che l’ha resa celebre, del sorriso che ha incantato il mondo, non c’è traccia ed è impossibile, seguendo la narrazione, non vederla come un elemento estraneo alla famiglia, incapace di sostenere, rispettare e comprendere il peso di un “sistema” nel quale si era inserita volontariamente e non per nascita, come invece era stato per gli altri.
Anche nella relazione con il medico pakistano Hasnat Khan (Humayun Saeed) non mostra classe ma piuttosto disperazione; quanto all’amore con Dodi Al-Fayed (Khalid Abdalla), del quale per ora sono venute fuori la pesante ombra paterna e la passione per la cocaina, se ne parlerà nella sesta stagione.
La figura di Elisabetta paga, invece, l’arrivo della nuova interprete, Imelda Staunton, che non riesce ad emozionare come le precedenti e che non le somiglia particolarmente. Inoltre, la quinta stagione racconta i buchi, l’arcaicità e i fallimenti del suo Regno e dà molto più spazio ai personaggi “di contorno”, dei quali vengono romanzati ed esasperati retroscena degradanti. In particolare la presunta liaison tra il Principe Filippo (Jonathan Pryce) e Penny Knatchbull (Natascha McElhone), moglie del suo figlioccio.
Le debolezze e i limiti di ciascun membro della famiglia vengono indagati con una certa severità, ma quelli di Re Carlo III non del tutto. Perchè dopo ogni scivolone, incluse le interviste mendaci e l’imbarazzante Tampaxgate – in una telefonata con Camilla (Olivia Williams), intercettata e resa pubblica da un amatore, disse di potersi anche trasformarne in un assorbente interno e finire nel wc pur di starle più vicino possibile – la sensazione che resta è quella della privacy violata, delle ingiustizie subite, dell’uomo incompreso.
Come dice Tony Blair (Bertie Carvel) alla moglie, Carlo è “energico, brillante, responsabile, umano, ha voglia di mettersi in gioco e di fare la differenza, intrappolato in un sistema che lo vuole all’angolo, muto“. E questo, insieme al racconto delle sue iniziative sociali e del suo spirito di sacrificio, ne fa il leader perfetto. Curiosamente, proprio ora che ne ha più bisogno.