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maggio

Mostri senza nome: Crime+Investigation indaga l’anima nera di Milano

Matteo Caccia

Mostri Senza Nome: Matteo Caccia

Milano che “ti fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano”, centro propulsore dell’economia, terra promessa per centinaia di migliaia di persone, all’avanguardia nel campo del terziario. Tante sono le possibili definizioni e descrizioni di questa metropoli indubbiamente affascinante. Ma è anche la città raccontata da Scerbanenco, famosa per le imprese della banda Vallanzasca (e non solo). La sua anima nera, oscura, viene ora raccontata da Crime+Investigation (su Sky al canale 119) con la serie Mostri senza nome – Milano, in onda da martedì 25 maggio alle 22.55.
Al centro della nuova stagione di Mostri senza nome sono quattro cold case irrisolti che hanno macchiato di sangue Milano e il suo hinterland. Con il delitto del noto professor Roberto Klinger e con quello dell’antiquaria Adriana Levi si fotografa l’anima di Milano, fornendo uno spaccato dell’alta borghesia milanese. Con i casi Lidia Macchi e Gianluca Bertoni, il cui cadavere venne ritrovato nel lago Maggiore, si racconta la provincia lombarda e i suoi legami con il capoluogo. A fare da guida al racconto, il conduttore radiofonico Matteo Caccia, che accompagna il pubblico in questo viaggio nella Milano degli irrisolti delitti, raccogliendo le testimonianze di parenti delle vittime, magistrati, avvocati, criminologi e proponendo inedito materiale d’archivio.

GLI EPISODI
Delitto Macchi – 25 maggio
34 anni fa, Lidia Macchi, studentessa modello di 21 anni, capo scout della sua parrocchia e attivista di Comunione e Liberazione, viene uccisa con 29 coltellate a pochi chilometri dall’ospedale di Cittiglio, nel varesotto. Prima di morire, Lidia ha avuto il suo primo rapporto sessuale, e forse proprio con il suo carnefice Nel novembre del 1987, il programma tv “Giallo”, condotto da Enzo Tortora, si occupa del delitto e lancia una campagna per sottoporre gli abitanti di Varese alla prova del DNA, il test che in Inghilterra aveva appena permesso di arrestare l’assassino di due ragazze. Vengono convocate in questura quattro persone, tra cui un compagno di scuola di Lidia, per effettuare un prelievo di sangue. I risultati, arrivati direttamente dal Regno Unito, non portarono a nulla. Nel 2014, dopo anni di silenzio investigativo, Giuseppe Piccolomo, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di una donna, viene accusato di essere il killer di Lidia. Ma il codice genetico dell’imputato non coincide con la traccia rimasta sul bavero della giacca della vittima e Piccolomo viene scagionato. Ormai sembra tutto finito quando nel 2015 c’è una nuova svolta: Stefano Binda, ciellino ed ex compagno di liceo di Lidia, viene incastrato da una lettera. Il giorno dei funerali, il 10 gennaio 1987, i genitori avevano ricevuto una lettera anonima scritta probabilmente dall’assassino. Patrizia Bianchi, amica di Binda, dopo aver visto la lettera del 10 gennaio in televisione, riconosce la grafia di Binda. Anche secondo una perizia la scrittura è uguale. Binda viene arrestato e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Durante il processo di appello vengono riviste le perizie grafologiche sugli scritti di Binda che viene assolto. La corte di Cassazione, il 27 gennaio 2021, rigetta il ricorso e conferma l’assoluzione per Stefano Binda.

Delitto Klinger – 1 giugno
Un delitto clamoroso che ha sconvolto Milano e una rispettabile e importante famiglia milanese. Per la prima volta in assoluto, la vicenda viene raccontata attraverso la testimonianza del figlio della vittima il professor Marco Klinger. La mattina del 18 febbraio 1992 i giornali uscirono con la notizia dell’arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa. Il primo masso della valanga che da lì a poche settimane sarebbe diventata l’inchiesta Mani Pulite, la più grande indagine sulla corruzione della storia d’Italia. Ma il professor Roberto Klinger, noto medico milanese, endocrinologo e diabetologo di fama internazionale con un passato al servizio della Grande Inter di Helenio Herrera e del Basket Cantù, quella mattina non fece neppure in tempo ad aprire il giornale: viene ucciso mentre sale sulla sua Panda che da via Muratori deve portarlo alla clinica Pio X dei padri Camilliani. Un killer lo colpisce con tre colpi: due alla testa e uno al torace. Chi sia quell’uomo che due testimoni vedono fuggire di corsa verso il centro resta però un mistero. Un mistero destinato ad alimentare varie piste, ipotesi di scambi di persona e vendette mafiose, suggestive ricostruzioni di coinvolgimenti di terroristi neri. Per chi indagò inizialmente sulla morte del professor Klinger, che oltre ad essere un importante medico anche per il suo lavoro nello sport, era anche un affascinante e notevole pittore, però, dietro quel delitto ci fu una pista ben precisa: l’azione di un collega, un medico con disturbi psichici e contro il quale Klinger avrebbe dovuto testimoniare in una causa. Alla fine, però, anche questa pista non porta a nulla.

Delitto Bertoni – 8 giugno
«Ci vediamo più tardi», dice ai suoi genitori, poi svanisce nel nulla. Gianluca Bertoni, 22 anni, vive a Somma Lombardo, in provincia di Varese. È un ragazzo e uno studente modello al quarto anno della facoltà di Veterinaria.
È la sera del 7 dicembre del 1990 e Giancarlo Bertoni, 49 anni, dipendente della Olivetti, saluta il figlio che sta per uscire con la sua auto per raggiungere la fidanzata Barbara, che abita a due chilometri di distanza. Sono le otto di sera: da quel momento di Gianluca non si avranno più tracce. Gianluca è scomparso nel nulla. Qualche giorno dopo, però, il 12 dicembre, quattro cacciatori trovano la sua auto, bruciata, in fondo a un sentiero poco distante da un laghetto tra Sesto Calende e Angera. Partono le indagini per quello che sembra un rapimento. C’è anche un testimone, un amico di Gianluca, che dice di averlo visto in macchina, lato passeggero, con altre due persone, verso le 20.30, in una strada provinciale. Ha provato a salutarlo ma il ragazzo non si è girato. Si scandaglia la vita privata di Gianluca, le amicizie e le conoscenze fino a quando, il 12 gennaio 1991, il corpo non riaffiora su una sponda melmosa del Lago Maggiore. Lo trova il custode di uno stabilimento: è chiuso in un sacco, incaprettato e con una catena e un grosso masso attaccati al collo. Secondo l’autopsia la causa della morte è un violento colpo alla testa, forse un cric. Vengono sentite diverse persone, si pensa alla criminalità organizzata. Il modus operandi sembra quello: un’esecuzione in piena regola. Ma Gianluca non aveva nulla a che fare con quel mondo. E non si arriva a nulla. Tutti gli elementi utili alle indagini vengono repertati e custoditi: siamo agli albori delle investigazioni scientifiche attraverso il DNA che viene rilevato anni dopo, nel 2009, quando il procuratore di Varese Maurizio Grigo, insieme al magistrato Tiziano Masini, istituisce in Procura un pool per i casi irrisolti: viene fatto un confronto sul materiale genetico rinvenuto sul nastro adesivo impiegato per chiudere il sacco, ma senza esito. Il delitto Bertoni rimane, ancora oggi, a tanti anni di distanza uno dei tanti casi irrisolti.

Delitto Levi – 15 giugno
Sullo sfondo la Milano vinciana, quella di Corso Magenta e Santa Maria delle Grazie e dell’Ultima Cena di Leonardo. Al centro un delitto inspiegabile. La vittima è Adriana Levi, una donna ebrea forte e coraggiosa di 66 anni. È sopravvissuta alla guerra e alla deportazione nei campi di concentramento. È una ricca antiquaria, proprietaria del negozio “Al Cenacolo” e la sua casa, al pianterreno di Corso Magenta, è piena di oggetti di valore. È la sera del 19 dicembre 1989 e a cena, per gli auguri di Natale, ci sono alcuni ospiti. Nessuno di loro la rivedrà. A trovarla, il giorno dopo, in terra davanti alla camera da letto, in camicia da notte, col volto tumefatto e in una pozza di sangue, sono la vicina e il dipendente del negozio. L’autopsia rivela ferite da taglio al collo, ma la morte è dovuta a un colpo pesante in viso. Dai cassetti aperti mancano gioielli e alcune decine di milioni di lire. Una finestra è aperta: la via di fuga dell’assassino? Inizialmente si pensa a una rapina finita male che di certo, però, non può giustificare tanta ferocia. Un mese prima la donna era riuscita a sventare una rapina in casa sua, trovandosi di fronte i ladri. Denuncia il crimine, ma non riconosce nessuno dei volti sulle foto segnaletiche della Questura. I poliziotti della squadra Omicidi poi concentrano la loro attenzione su uno degli ospiti invitati alla cena. È un uomo di 35 anni ed è stato l’ultimo ad aver visto Adriana viva. La moglie di lui dirà di averlo visto in casa, davanti alla tv nell’ora ora dell’omicidio. Un altro mistero ossessiona gli investigatori. Quella notte scatta l’allarme di casa collegato alla questura alle 3,21 e viene reinserito in modo sospetto. Una volante arriva, non nota nulla di strano e va via. Il mattino seguente, durante i rilievi, l’antifurto viene trovato inserito in tutta la casa. Strano perché la donna si preparava ad andare a letto, quindi in quel quadrante doveva aver disinserito l’allarme, come faceva sempre. E’ un rebus. Per ora insoluto.

Prodotto da Creative Nomads per A+E Networks Italia, la serie è diretta da Giampaolo Marconato, mentre gli autori sono Nicola Vicinanza e Antonio Plescia. Produttrici esecutive sono Marella Bombini e Vichie Chinaglia.



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