E’ il solito Beppe Fiorello quello che si è riaffacciato ieri sera su Rai 1 ne Gli Orologi del Diavolo, con il suo carico di impegno sociale, ingiustizie e buone intenzioni. Ma la storia che racconta non è affatto usuale, soprattutto perchè tratta da vicende reali che, a conoscerle, sembrano surreali e che ancora oggi non hanno avuto un lieto fine.
La fiction è ispirata alla vita di Gianfranco Franciosi, un meccanico che nel 2005 si fece coinvolgere in un traffico di droga per aiutare le Forze dell’Ordine. Primo civile ad essere infiltrato in un contesto del genere, finì in carcere e vide la sua famiglia sfasciarsi; oggi vive sotto copertura, separato dalla seconda moglie e dai suoi figli, in gravi difficoltà economiche e con un cantiere distrutto dalle tre bombe che coloro che ha “tradito” hanno piazzato. Un uomo che ha minacciato già due volte di suicidarsi nel tentativo di richiamare l’attenzione dello Stato e riprendere in mano le redini della sua vita.
Con tale materiale a disposizione, non poteva che venirne fuori un racconto televisivo ad alta tensione, con un buon ritmo e tanto pathos. Tra cavalcate in mare, costosi orologi regalati al protagonista Marco da un narcotrafficante, zaini che appaiono e scompaiono in aeroporto, va avanti un’indagine delicata e ricca di colpi di scena, che si fa guardare.
Ma in questo viaggio ai confini della realtà, ambientato tra Italia e Spagna, quello che cattura maggiormente l’interesse dello spettatore è la portata emotiva della storia, che crea una grande empatia e fa avvertire chiaramente il senso di sopruso che attanaglia Marco. Allo stesso tempo i difficili rapporti dell’uomo con la sua famiglia, le bugie che racconta e gli intrecci che ne derivano, lo trasformano in un eroe ingenuo per il quale si prova compassione ma anche un certo grado di rabbia. La stessa che si prova dinanzi agli eventi avversi e anche per noi stessi, quando ci fidiamo delle persone sbagliate.
1. Lorenzo78 ha scritto:
10 novembre 2020 alle 12:47