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ottobre

Quibi: chiude dopo 6 mesi la piattaforma streaming per smartphone

Quibi, Jeffrey Katzenberg

Quibi chiude qui. A solo sei mesi dal lancio in pompa magna (era l’aprile 2020), la piattaforma streaming pensata per gli smartphone termina la sua corsa. Nonostante le promettenti premesse, con 1,7 milioni di download effettuati nei primissimi giorni del servizio ed 1,8 miliardi di investimenti, l’esperimento è andato ad infrangersi contro la difficoltà di imporsi in un mercato già affollato da ormai consolidati colossi.

Da una parte, la pandemia ci ha messo del suo (il lockdown ha infatti favorito lo streaming ma non certo la mobilità), dall’altra l’offerta di Quibi non ha mosso grandi numeri al di là dell’iniziale curiosità. Nei primi tre mesi, l’app era stata scaricata da milioni di utenti, ma di questi solo una minima parte ha sottoscritto l’abbonamento dopo il periodo gratuito di prova.

Le ridotte prospettive di poter competere con i big del settore – nonostante tra i primi investitori ci fossero anche Disney, Comcast, Alibaba e Madrone Capital – hanno fatto quindi propendere per una scelta drastica in tutti i sensi. Basti pensare che 200 dipendenti sono stati licenziati in tronco.

A comunicare la fine dei giochi è stato lo stesso fondatore della società, Jeffrey Katzenberg, con una serie di incontri con gli investitori e – pubblicamente – in un post su Medium.

Riteniamo di aver esaurito tutte le nostre opzioni. Di conseguenza siamo arrivati non senza dolore alla conclusione difficile di chiudere ogni attività, restituire il denaro ai nostri creditori e ai nostri azionisti e dire addio ai nostri colleghi

ha scritto il produttore ed ex co-creatore di DreamWorks. Secondo quanto riferito dalla stampa americana, Katzenberg avrebbe cercato prima di farsi acquisire da Apple, Warner e Facebook, ma senza mai arrivare ad una svolta nelle trattative. Allo stesso modo, avrebbe tentato invano di portare i video di Quibi sulla piattaforma di Mark Zuckerberg o sulla Nbc Universal.

Nemmeno i 63,7 milioni spesi in campagne promozionali televisive sono riusciti a far avvicinare il pubblico ad una piattaforma che partiva con una premessa interessante – quella di offrire contenuti ‘mordi e fuggi’ per un pubblico ad alta mobilità – ma che non è poi riuscita a rendersi distinguibile davvero, al di là delle difficoltà legate al momento storico.

Il fallimento è stato quindi inevitabile e fragoroso, sia per rapidità sia per valore economico. Nelle casse della società, ora, rimangono solo 350 milioni (briciole rispetto all’investimento iniziale), da spartire tra gli ex soci, una volta pagati i creditori.

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