I programmi di cucina? Visto uno, visti tutti, tranne rarissime eccezioni. Gino Cerca Chef non è una di quelle eccezioni: è l’ennesimo talent, con gli stessi meccanismi di sempre e con dei giudici-personaggi che prendono il centro della scena. A fare la differenza qui è lo scopo dello show, ovvero l’assunzione immediata di uno dei concorrenti da parte di Gino D’Acampo. Uno per puntata, il che rende tutto più concreto del solito.
Gino Cerca Chef: giudici fenomeni e concorrenti preparati
D’Acampo fa sul serio, offre un posto di lavoro, ma gli piace anche giocare. E infatti ogni puntata lo vede fare un po’ il fenomeno con gli aspiranti chef che gli capitano a tiro: è guascone, non risparmia battutine, critiche pesanti se necessario, ma rispetta le idee altrui, perdona facilmente e sa mostrare talmente la propria umanità, da sembrare dispiaciuto ogni volta che manda a casa qualcuno.
La gara diventa l’occasione per farsi conoscere meglio, raccontare un po’ del suo impero, composto da ben 49 ristoranti: lui lo fa sporcandosi le mani ai fornelli e scendendo dal piedistallo sul quale si trova in quanto giudice supremo ed inattaccabile.
Ben più spietato, e ancor più impegnato a fare show, il maître francese Fred Sirieix, che lo affianca nel giudizio: poco impressionabile ed esigente, perfezionista e fascinoso, si diverte un po’ troppo a giocare con le sue difficoltà linguistiche, qualche volta andando fuori dal seminato. Evitabili, per esempio, nella prima puntata, i doppi sensi con la “gnocca” e la “patata” nei confronti di una concorrente, e proprio davanti agli occhi del figlio di lei.
Il casting è stato ben fatto, con qualche aspirante cuoco preparato tecnicamente e capace di interessanti intuizioni. Nel complesso il programma del Nove si presenta semplice e compiuto, ma, diversamente dal vincitore di puntata – al quale potrebbe cambiare la vita – la tv nostrana poteva anche farne a meno.