5
febbraio

Sanremo 2020: Amadeus cambia musica

Amadeus, Rula Jebreal (Ufficio Stampa Rai)

Amadeus ha cambiato musica. Con il Festival di Sanremo 2020, il presentatore ha archiviato l’accoccolata solennità baglionesca delle due precedenti edizioni e ha eseguito uno spartito a lui più consono: quello nazionalpopolare. Al suo debutto all’Ariston, il novello padrone di casa ha confezionato una serata nel complesso piacevole e premiata negli ascolti: pur senza exploit, lo spettacolo ha tenuto viva l’attenzione e preservato l’identità dell’evento.

Sì, perché il rischio era quello di una conduzione scorrevole ma fin troppo feriale, distante cioè dallo spirito distintivo (e festivo) della kermesse. Invece l’Ariston e Amadeus non hanno deluso, almeno per ora. Anzi, al presentatore ravennate va riconosciuto di aver riportato uno spirito volutamente pop, senza però cedere all’utilizzo improprio di gag e battutine, scorciatoie autoriali che dalle parti di Sanremo vantano anche dimenticabili precedenti. Speriamo di non doverci ricredere da qui a sabato.

Proprio Amadeus, in apertura, è apparso molto emozionato e al suo fianco il pubblico ha trovato un Fiorello carico di energie, che si è lasciato andare ad iniziali ed efficaci battute (anche a sfondo politico) che hanno rotto il ghiaccio. Alla prima, ha invece disatteso le aspettative Tiziano Ferro, che certamente avrebbe potuto andare oltre al ruolo di incursore canterino, peraltro non sempre impeccabile. Nel prosieguo della kermesse, confidiamo in un suo maggior coinvolgimento nello show, che peraltro ne giustificherebbe la presenza fissa nel cast.

La scaletta della première ha costretto il pubblico ad una lunga maratona, protrattasi oltre i limiti di salvaguardia dalla narcolessia. Pur non avendo suscitato noia – e questo è già un buon segno – lo show avrebbe potuto essere sfoltito in alcune sue parti (ridondanti ad esempio i ritorni sul palco di Tiziano Ferro ed Emma Marrone), a beneficio della gara. Degni di nota, il monologo di Rula Jebreal e la canzone eseguita da Jessica Notaro con Antonio Maggio: entrambe le performance hanno convinto, soprattutto a livello di contenuto, perché incentrate su intensi vissuti personali e non sulla retorica. Avvertenza però per le prossime serate: l’importante sensibilizzazione contro la violenza sulle donne non diventi un refrain che alla lunga – nell’economia dello spettacolo – ottiene l’effetto opposto, scivolando nel riempitivo.

Quanto ai brani in gara, la qualità musicale è stata preservata, pur con un evidente cambio di approccio, anche in questo caso. Se con Baglioni la scelta privilegiava varietà e qualità musicali che spesso meritavano un ascolto più giudizioso (si pensi a Mahmood, bistrattato ma poi rivalutato da tanti), con Amadeus la volontà è stata di puntare all’immediata orecchiabilità. Ecco, l’intero Festival di Amadeus in realtà è orecchiabile, popolare.



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