Ma dove vai se i follower non ce li hai? La società dell’immagine di sociologica definizione è sempre più a misura di like: la notorietà, al giorno d’oggi, è fatta di visualizzazioni e condivisioni. Di immagini diffuse su Instagram che generano ideali modelli di vita e di consumo. Così, il virtuale diventa reale. La giostra dei social gira all’impazzata e Rai2, approntando un buon tentativo di racconto, ha provato a fermarla ieri sera con Giovani e influencer, una docu-inchiesta sui nuovi protagonisti del web.
Nella prima delle quattro puntate in programma, la trasmissione di seconda serata ha seguito alcuni influencer (o pseudo tali) nella loro quotidianità famigliare e professionale, anche se in alcuni casi parlare di professione è eccessivo. Privati dei filtri patinati di Instagram e dell’aura che li avvolge sui social (spesso senza apparente motivo), molti dei protagonisti intervistati sono apparsi tremendamente normali. Banali. Non tanto diversi – salvo particolari eccezioni che riguardano i veri big alla Chiara Ferragni – dai coetanei che li seguono in massa a colpi di like, visualizzazioni e commenti.
Chiara Nasti, influencer partenopea, ha raccontato i suoi esordi da fashion blogger quando ancora era adolescente, seguiti poi dalla fama sui social. Davanti alle telecamere, la ragazza ha parlato del proprio carattere difficile ma anche delle sue comunissime fragilità. Giulia Gaudino e Frank Gallucci, di cui ignoravamo la notorietà di coppia, si sono fatti ritrarre nella loro ‘faticosa’ routine tra sfilate di moda e scatti da pubblicare su Instagram. Sempre meglio che lavorare. Più di impatto la testimonianza di Valentina Vignali, la quale ha confidato di essere rimasta male per alcune critiche ricevute sui social proprio quando il suo fisico era indebolito dalla malattia.
Come già aveva fatto nei suoi precedenti lavori per Rai2, il curatore del programma, Alberto D’Onofrio, si è limitato a fotografare il fenomeno analizzato senza trarre avventate conclusioni o esprimere giudizi. Un approccio corretto e tutto sommato necessario, visto che l’oggetto del racconto è troppo contemporaneo ed in costante cambiamento per essere valutato in termini definitivi.
Certo, l’impressione di una generalizzata vacuità estetica ed etica (per metterla sul filosofico) l’abbiamo avuta: inevitabile di fronte ai volti di alcuni protagonisti che, per loro stessa ammissione, non hanno saputo spiegare i motivi della loro notorietà, legata per l’appunto all’indeterminatezza di un fenomeno del tutto inedito.
Sarebbe interessante, a questo punto, che il racconto estendesse lo sguardo ad un punto di vista altrettanto curioso e dirimente: quello dei follower. Già, i milioni di utenti che con i loro like attribuiscono visibilità a persone non poi così diverse da loro, se non nella capacità di mettersi efficacemente in mostra nell’ormai satura vetrina social(e).