Chi sceglie di guardare Amore Criminale sa che trascorrerà due ore intense e non certo piacevoli. Le storie di femminicidio ricostruite dal programma di Rai3 sono infatti dolorose, intollerabili, commoventi, ingiuste. Tutte tremendamente vere, purtroppo. Lo spettatore sale sull’altalena delle emozioni che queste vicende trasmettono e viene travolto dalla potenza del racconto televisivo, basato sul linguaggio della docu-fiction e su una conduzione discreta, mai troppo invadente.
Questa caratteristica, che in altri programmi si sarebbe potuta ritenere sinonimo di insipidezza, ad Amore Criminale risulta invece funzionale. Dopo la passata stagione, penalizzata dai toni dark attribuiti dall’ex presentatrice Asia Argento, ora la trasmissione ha ritrovato maggior equilibrio: alla carica emotiva delle vicende affrontate, infatti, non viene aggiunta ulteriore tensione da parte delle conduttrici Matilde D’Errico e Veronica Pivetti, che indossano i panni delle narratrici lasciando solo trasparire un comprensibile coinvolgimento.
Il ruolo più delicato, in tal senso, è quello svolto proprio dalla D’Errico, che di fatto è la principale padrona di casa. La storica autrice di Amore Criminale, infatti, apre ogni puntata intervistando una vittima o una testimone della violenza contro le donne. Nella puntata di ieri è stata la volta di Clementina, madre di Veronica, uccisa a Mondragone nel settembre del 2008 dall’ex fidanzato. Il faccia a faccia con chi ha conosciuto il dramma è senza dubbio un momento di forte impatto emotivo e alla D’Errico va riconosciuto di riuscire a trarre informazioni dai suoi interlocutori senza indugiare su dettagli morbosi.
Veronica Pivetti fa da voce narrante conservando garbo e «normalità» (come lei stessa l’ha definita nella nostra intervista) che le consentono di non prevalere sulle storie ricostruite. Le immagini della docu-fiction, affiancate alle testimonianze reali, compongono il racconto lungo e dettagliato, che non manca di utilizzare musiche ed effetti sonori per sottolineare alcuni passaggi. Buona la scelta di considerare solo vicende con almeno una sentenza passata in giudicato.
Il programma conferma, nel complesso, la sua funzione di denuncia, pur non rinunciando alla scelta – squisitamente televisiva e strategica – di riservare ampio spazio alla fiction e minore all’intermediazione dei conduttori, che in alcuni casi si renderebbe invece necessaria. Ad esempio, non guasterebbero maggiori riferimenti agli aspetti psicologici e ai ricatti emotivi che fanno da sfondo ai drammi documentati, così da spiegare al pubblico quali siano nel dettaglio le dinamiche che accomunano certi Amori criminali. Sarebbe una buona forma di prevenzione.
1. controcorrente ha scritto:
29 gennaio 2018 alle 12:14