27
marzo

Crisis in Six Scenes: il dimenticabile esordio italiano della prima (e ultima) serie di Woody Allen

Crisis in six scenes

Con il suo affollato campionario di maschere umane, non è un mistero che Woody Allen abbia non poco influenzato la tradizione comedy moderna. Sorprende quindi che il regista newyorkese si sia sempre ben guardato dal cimentarsi con la serialità televisiva. Almeno fin quando l’ammaliante mondo di Amazon non è riuscito a stregarlo con un compenso da capogiro e la garanzia di una piena libertà artistica. Come per il migliore dei suoi alter ego, però, il pessimismo cosmico è calato sull’estro alleniano, scatenando il pentimento per essersi gettato in un progetto troppo complesso per le sue competenze seriali, presentato come vergogna cosmica. In effetti, in pochi sono rimasti soddisfatti dalla sua Crisis in Six Scenes, che ad alcuni mesi dal debutto statunitense si è svelata lo scorso week end agli utenti italiani di Amazon Prime Video.

Crisis in Six Scenes: il lato moderno dell’anticonformismo Anni 60

In veste di sceneggiatore, regista e protagonista, Allen azzarda una critica alla crisi socio-politica contemporanea raccontando un’America divisa dall’accesa contestazione alla Guerra del Vietnam.  Siamo negli Anni 60 e Sidney J. Muntzinger (Woody Allen) vive scrivendo spot pubblicitari, mentre lavora a una sconclusionata serie tv e sogna di diventare il nuovo Salinger. La sua quotidianità borghese al fianco della terapeuta Kay (Elaine May) viene però scompaginata dall’arrivo di Lennie (Miley Cyrus), un’hippie rivoluzionaria scappata di galera, e dalle sue travolgenti idee anticonformiste.

Crisis in Six Scenes: un racconto inconsistente risollevato dall’umorismo alleniano

A differenza di altri grandi registi prestati alla serialità, Allen non ha approfittato dell’occasione per sperimentare con le possibilità narrative concesse dal piccolo schermo, rifugiandosi piuttosto nel suo longevo repertorio per sopperire a una dichiarata mancanza di idee. Il risultato è quindi una comedy poco consistente – anche per i risicati 6 episodi da circa 20 minuti che cuce i ritagli della sua intera filmografia in un patchwork di poche scene prolisse.

Non tanto una serie, dunque, ma un film (tra i suoi più lunghi) nel quale l’unico vezzo televisivo sono i cliffhanger al termine di ciascun capitolo. Per quanto poco avvincente, però, Crisis in Six Scenes invita a gustarsi un episodio dopo l’altro per la semplice presenza di Allen, il cui surrealismo e humor nero non deludono mai, qui impreziositi dalla chimica con Elaine May (Criminali da strapazzo) e affaticati dalla sola interpretazione (ancora ferma ai tempi di Hannah Montana) di Miley Cyrus, forse più credibile come sovversiva nella vita reale.

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