Netflix aggiunge un altro tassello al suo ciclo di serie Marvel, completando così il puzzle che anticipa il crossover The Defenders. Proprio oggi è approdato infatti sul catalogo del servizio streaming Iron Fist, “l’ultimo Difensore”, che presta il suo nome allo show basato sull’omonimo personaggio dell’universo fumettistico, qui meglio conosciuto come “Pugno d’Acciaio”. A firmare la co-produzione tra Marvel Television e ABC Studios, Scott Buck, che dopo gli anni di esperienza come sceneggiatore di Six Feet Under e Dexter non sembra questa volta aver convinto pienamente.
Iron Fist: la trama
In seguito allo schianto aereo sui monti dell’Himalaya e alla morte dei ricchi genitori, Danny Rand (Finn Jones) viene salvato e cresciuto a pane e arti marziali dai monaci della città perduta di K’un L’un, acquisendo una perfetta padronanza del kung-fu e la capacità di evocare la straordinaria potenza del Pugno d’Acciaio. Trascorsi quindici anni, torna però a New York, determinato a riprendere le redini dell’azienda di famiglia. Nel riallacciare i rapporti con il passato, tentando di dimostrare la sua vera identità, Danny si troverà tuttavia diviso tra la necessità di ricomporre quanto perduto e i suoi doveri di supereroe chiamato a combattere i criminali e i corrotti della città.
Iron Fist: il supereroe non convenzionale che fatica a conquistare
Smessa l’armatura di Ser Loras Tyrell ne Il Trono di Spade, Finn Jones si ripresenta nelle vesti (inizialmente parecchio logore) di un supereroe dai tratti non convenzionali, le cui doti non sono un autentico superpotere, bensì il risultato di un faticoso percorso di formazione, come spiegato dallo stesso Scott Buck. Ad ogni modo, lo sforzo realistico non pare aver soddisfatto gli sguardi più esperti, che hanno riservato ad Iron Fist un’accoglienza piuttosto gelida, etichettandola come il gradino più basso di un cammino che, dopo il buon esordio con Daredevil, ha proseguito in declino con le scricchiolanti Jessica Jones e Luke Cage. In effetti, dai primi episodi dei 13 totali, il racconto procede con una lentezza estenuante, riducendo al minimo i coreografici momenti di azione. Scelta senz’altro lecita, che non viene però colmata dall’intensità dei fantasmi interni al protagonista, decisamente trascurata in favore di lunghi passaggi a vuoto.
1. Patrick ha scritto:
18 marzo 2017 alle 03:05