A ben ponderarne il peso, il debutto di Solo non ha rappresentato la semplice ed ennesima messa in onda di una nuova fiction di Canale 5 targata Taodue. Si è trattato, piuttosto, di una scommessa senz’altro legata alla combattuta lotta agli ascolti della serata, ma ancor più alla capacità della serialità di Mediaset nell’emanciparsi. Non è un mistero, infatti, che le produzioni trasmesse dal network di Cologno Monzese abbiano negli ultimi tempi faticato a tenere il passo dei nuovi titoli che hanno movimentato la scena seriale italiana, consentendole di avviarsi verso un salto di qualità. Del resto, lo stesso produttore Pietro Valsecchi ha dichiarato apertamente di voler dare una svolta alla linea editoriale che ha da sempre caratterizzato i suoi prodotti, ricorrendo a un mix di classicità e innovazione.
Obiettivo, questo, che Solo ha cercato di raggiungere affidandosi a elementi consueti (il genere poliziesco, la criminalità organizzata e un personaggio fisicamente e sentimentalmente messo a dura prova), rielaborati annidando nei diversi componenti della macchina produttiva la chiave sperimentale del realismo.
Ad ogni modo, l’episodio di esordio è sembrato non confermarne appieno l’intento. Certo, il ricorso alla camera a mano e la cornice di una Calabria desolata aiutano a inserire lo svolgersi delle vicende in un contesto più concreto, quasi rarefatto. Quel che non perviene, però, sono gli ingredienti che dovrebbero dare spessore a un racconto che si propone di portare in primo piano l’eterno contrasto delle complessità umane. A questo scopo, infatti, la fiction diretta da Michele Alhaique ha deciso di allentare l’azione per far dare risalto allo spessore psicologico dei propri personaggi, immergendoli tuttavia in una narrazione fatta di lunghi silenzi e sguardi fin troppo profondi, la cui funzione implicita di mostrare le contraddizioni morali dei protagonisti si trasforma in una semplice serie di passaggi a vuoto.
Il ritmo scorre di conseguenza lento, in modo quasi frammentario, senza farsi risollevare né dai dialoghi né dalle musiche, smorzando così anche l’avvicinamento ai momenti di suspense. A mancare è proprio la tensione, poco percepibile sin dall’inizio del teaser e sommariamente gestita nel corso dell’episodio. La sensazione è quindi di trovarsi sospesi all’interno di una bolla, dove il fluire del racconto procede al rallentatore, facendo perdere di vista anche le reali componenti della trama. A ciò contribuisce anche la resa recitativa, fin troppo lineare e abbandonata ai soli sforzi di Marco Bocci, il cui personaggio appare più uno spettatore inerme della realtà raccontata che un suo diretto protagonista.
In conclusione, non si percepisce l’intento di Taodue di rinnovare il proprio stile e trattare lo spettatore da adulto, mostrandogli la schiettezza del microcosmo narrato. Essenzialmente, Solo non porta sul teleschermo nulla che non sia già stato visto. Non esplora, cioè, sfaccettature del genere poliziesco e criminale che possano renderlo unico, o perlomeno contraddistinguerlo. Rimandata, quindi, Mediaset, che ancora non riesce ad abbandonare il suo porto sicuro, affidandosi a una fiction che si lascia guardare (seppur richiedendo poca intensità di concentrazione), senza tuttavia imprimersi nella memoria di chi la segue.
1. Tina ha scritto:
10 novembre 2016 alle 13:34