Quando il genere crime intreccia il fascino di un tacco a spillo, l’esplosione di emozioni contrastanti è sempre dietro l’angolo. Sembra essere questo il topic di Camorriste, in onda il martedì sera (alla puntata inedita della scorsa settimana, seguiranno le repliche del primo ciclo) ore 22:50 su Crime+Investigation. Tutto ruota attorno alle storie di donne che hanno votato la propria vita – più o meno per scelta – alle logiche della criminalità organizzata e agli schemi dei clan camorristici più feroci.
Un piccolo assaggio di questo coraggioso esperimento tv l’avevamo già avuto la scorsa primavera, quando, con Gomorra 2 che lo precedeva su un altro canale, contribuiva a comporre la serata a tinte noir in casa Sky. Martedì scorso è andata in onda una puntata inedita dedicata alla complessa figura di Marianella – all’anagrafe Maria Duraccio -, dipinta come una passionale giovane donna devota a suo padre e pazza di suo figlio. Nipote del boss Cutolo, la Duraccio si avvicina al mondo criminale in cerca di un’autonoma identità criminale e desiderosa di vendetta verso gli assassini del padre. Sullo sfondo di un destino che sembra già segnato, arrivano un fallimento matrimoniale, un figlio affetto da un grave handicap, e una passione dai contorni imperfetti con l’affiliato Michele Auriemma con il quale desiderio e istinto criminale si fondono in un pericoloso sodalizio prolifico di morte e anni di detenzione. La Duraccio diventa protagonista di Camorriste perché ad un certo punto prende la madre di tutte le decisioni: collaborare con la giustizia. Ed è proprio dalla sua voce, integrata da realistiche ricostruzioni video in perfetto stile Amore Criminale, che il telespettatore ha la possibilità di mettere insieme pezzo per pezzo la sua storia.
Quello che in altre trasmissioni potrebbe risultare uno schema troppo asciutto e già visto, ossia la dinamica racconto/video ricostruttivo, in Camorriste viene dosato con prudenza, quindi, funziona. Nella perenne sfida silenziosa con lo snodo romanzato/narrativo, è il piglio documentary che alla fine emerge sgombrando, così, il campo da quel “Vabé, l’ennesima fiction sulla camorra” che qualcuno potrebbe essere tentato di sentenziare. Cedere alla tentazione di spingere troppo sull’acceleratore della sete di sangue è un pericolo concretamente vicino, ma ben arginato da un produzione che preferisce la linea d’inchiesta a quella “di pancia”.
Donne che si raccontano senza filtri e libere da inutili sovrastrutture, dalle quali arrivano parole di pentimento miste spesso a note di velata malinconia per uno stile di vita che oggi rinnegano ma che ieri avevano scelto. Cosa ha significato essere una camorrista? E’ questo il perno su cui si regge l’intera trasmissione, che non denuncia alcuna presunzione di sganciare banalità sulla giustizia annaffiate di un moralismo fuori contesto, ma che allo stesso tempo un paio di insegnamenti riesce a veicolarli. La realtà che racconta la realtà criminale senza intermediari lì pronti ad edulcorare. E va benissimo così.