Beppe Fiorello porterà in scena questa sera su Rai 1 la vita del poliziotto simbolo della Terra dei Fuochi, Roberto Mancini, nella fiction Io non mi arrendo. Come spiegato dall’attore nel corso della finale del Festival di Sanremo 2016, trovare informazioni concrete sulla vita di Mancini non è facilissimo, vista la sua omonimia con l’allenatore dell’Inter: ecco dunque chi era davvero colui di cui il pubblico conoscerà l’alter ego in video (che avrà il nome di Marco Giordano) questa sera.
La vera storia del poliziotto Roberto Mancini
Roberto Mancini era un investigatore caparbio, integerrimo, che nei primi anni ‘90 capì che alcuni imprenditori, in combutta con le organizzazioni criminali, stavano inquinando il territorio campano con lo smaltimento illegale dei rifiuti. Il gruppo di Mancini alla Criminalpol era una sottosezione della terza squadra, composta da poliziotti che condivisero la sua indagine e che, come lui, ne hanno pagato le conseguenze con gravi problemi di salute.
Era chiamato il “poliziotto comunista” per i suoi rapporti difficili con i massimi vertici e con i funzionari di cui non si fidava. I suoi tentativi di indagine furono ostacolati in vari modi anche per questo: perché Mancini non si faceva problemi a tirare in ballo chiunque avesse avuto un ruolo nella vicenda, anche i politici; e benché fosse già stata avviata l’inchiesta Adelphi, basata sulle prime rivelazioni del pentito Nunzio Perrella, il gruppo di Mancini non ricevette il supporto necessario per indagare a fondo.
Ma il poliziotto non si arrese, cercando di convincere tutti, perfino i suoi familiari, che l’immondizia era diventato un business pericoloso per la salute. Riuscì a produrre un dossier con nomi, fatti e date che, dopo un lungo peregrinare, fu finalmente preso in considerazione nel nuovo millennio, dando vita ad una nuova inchiesta.
Nel frattempo, però, il lavoro su quel campo minato e i veleni respirati di continuo portarono Roberto Mancini ad ammalarsi di una grave forma di cancro al sangue, un linfoma non-Hodgkin che dopo undici anni di calvario ne causò la morte.
Grazie ad una petizione creata on line da un suo caro amico, Mancini è stato riconosciuto come “vittima del dovere”. Ha lasciato una moglie e una figlia.
1. Pippi ha scritto:
16 febbraio 2016 alle 12:40