di Stefania Carini per DavideMaggio.it
Riusciamo pure a trasformare l’eliminato per guasto tecnico Gabbani in vincitore dei Giovani. Siamo maestri di storytelling, e in fondo pure su Garko si è riusciti a creare nel corso delle puntate un personaggio che recita a soggetto: calca i suoi sbagli, e reclama una scalinata come le dive per poi mostrare il didietro scendendo da una scala da muratore. Sì, Conti è così: per fare certi ascolti bisogna saper navigare le acque del nazionalpopolare pescando tutto quel che si trova.
Bisogna mettere insieme più e più ingredienti senza cucinarli secondo una propria ricetta, ma semplicemente porgendoli allo spettatore, che si serve con quel che vuole. Conti non crea una forma spettacolo definita alla Baudo o alla Fazio, Conti porge frammenti che cercano di raccontarsi da sé. Qualche pietanza funziona sempre, qualcuna no, alcune si miscelano meglio di altre. Il buffet comunque è servito, e ci si accalca tutti perché nessuno si sente escluso (una pizzetta e un bicchiere di vino non si negano mai).
Proprio per la capacità di porgere senza imporsi, e per via di una realtà sociale che preme alle porte del Festival, il secondo Conti è riuscito là dove aveva fallito il secondo Fazio. Vi ricordate il tema “bellezza” forzatamente sovrapposto al corpo festivaliero? Era tutto un dire e dire, a discapito di ritmo e leggerezza. Conti invece porge: la storia di Nicole, il vecchietto pieno di vita, la canzone di Frassica e il grande momento con Bosso.
E poi ci sono quei nastrini arcobaleno che funzionano da soli perché si vedono. E’ la realtà che preme da fuori, e la fortuna di Conti è che non è quella di Grillo del 2014. Sarà anche che sei terzista dentro sei più paraculato. Fazio-Conti, Conti-Fazio: per forza di cose, questo è il paragone. E non solo per mera cronologia, “Conti viene dopo Fazio”, ma perché a ben guardare in Rai non c’è altro. Clerici e Morandi furono festival senza una vera idea di conduzione, per trovarne una bisogna arrivare fino a Bonolis (2009). Ci si infuria per il massacro della sigla di Goldrake, ci si sente vecchi con i Bluvertigo, si prova nostalgia con la Pausini ed Elisa mica solo coi Pooh, ci si prepara a fare karaoke con Cristina D’avena.
E’ l’immaginario degli anni 80 e dei 90 che arriva a Sanremo, ma resta in mano a un 54enne (in formissima certo) che, visti i dati di ascolto, potrebbe andare avanti per anni e anni, per celebrare chissà pure i 2000. O magari toccherà ancora a Fazio (classe 1964). Che celebrò gli anni 70 con Anima Mia, e che quest’anno in una puntata di Che tempo che fa ha omaggiato gli 80 con Ritorno al futuro. Perché dopo di loro, chi c’è? In Rai manca la generazione successiva a quella dei Conti e dei Fazio. Un problema che si dovrà affrontare, anche se certo poi si può sempre pescare da altri campionati (Cattelan? Eppure deve ancora crescere in termini di costruzione spettacolare, nonostante le costanti critiche entusiaste). Quale futuro insomma per Sanremo, e per la Rai tutta? Non è piagnisteo pseudogiovanilistico, è dato di fatto. Bisogna pensare al domani, tanto in termini di forza lavoro del Servizio Pubblico quanto in termini di target da raggiungere. Almeno lo scorso anno al Dopo Festival c’era un giovane vero, il caustico Saverio Raimondo (classe 1984). Adesso ci sono Savino (1967) e la Gialappa’s (tutti classe 1960). Peccato, eppure il Dopo Festival potrebbe essere proprio il luogo dove testare il nuovo.
1. ciak ha scritto:
13 febbraio 2016 alle 13:50