18
novembre

TV SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI: SCONOSCIUTI DALL’ANALISTA!

Sconosciuti

Sconosciuti

-        T: Eccoci qui. Buongiorno, lei è?

-        P: Sì eccoci. Buongiorno anche a lei. Io sono Sconosciuti.

-        T: E’ il suo titolo?

-        P: Sì, sì, è il mio titolo depositato. Sconosciuti, la nostra personale ricerca della felicità, per l’esattezza.

-        T: Ho capito, allora, mi dica, cosa ci fa qui?

-        P: Sì, vede, ho saputo, ecco, che è venuta da lei anche la mia compagna, la metà che mi compensa. L’ho saputo per caso, lei non lo sa neanche. Ecco, vorrei solo capire cosa le ha detto.

-        T: Cosa vorrebbe capire? Io non posso rivelare a nessuno quel che i pazienti mi raccontano in terapia. Lo sa, vero?! C’è il segreto professionale.

-        P: Ah! Beh, sì, ecco… lei non può dirmi proprio nulla?

-        T: No. Nulla.

-        P: Ah!

-        T: Non so, vogliamo approfittare di questo tempo a nostra disposizione per parlare un po’?!

-        P: Parlare di cosa?

-        T: Di quel che vuole. Di lei, per esempio.

-        P: Di me? Beh. Sì, io sono un programma di RaiTre e sono alla perenne ricerca della felicità degli italiani. Cerco e racconto la felicità comune, non quella eclatante o spettacolare ma quella semplice e genuina delle persone comuni.

-        T: Ok, ho capito. Mi parli meglio di come passa dalla teoria alla pratica. Concretamente, lei cosa fa?

-        P: Sì, beh. Allora, io sono giunto alla quarta stagione. Sono fatto di episodi, ognuno da 20 minuti. In ogni episodio c’è una voce narrante che tira le fila della storia e recita delle citazioni attinenti. La voce narrante è chiara e pulita, ma ecco, effettivamente è anche un po’, diciamo, impostata.

-        T: Ah, è un po’ insoddisfatto della sua voce narrante? Può dirlo, non tema di riconoscere ed affrontare le sue pecche, è un percorso difficile ma necessario per crescere.

-        P: Sì. Forse andrebbe un po’ sciolta.

-        T: Questo è l’atteggiamento giusto! Ed il lavoro come va? Scarseggia? C’è la crisi? Intendo, la trova questa felicità comune?

-        P: Sì, la trovo eccome. Il mondo è pieno di storie normali, eppure speciali.

-        T: Ed il rischio noia?

-        P: Quale noia?

-        T: La noia dell’abitudine.

-        P: Mah, il punto di forza del mio show è la normalità delle storie, quindi la spettacolarità è proprio fuori tema. Voglio essere “estremamente vero”.

-        T: Certo, questo è encomiabile. Mi chiedo solo come affronti il rischio monotonia, che è insito in uno spettacolo come lei.

-        P: Io sono un bio-epic, non uno spettacolo. Sono scarno, sono essenziale, sono pulito. Certo non ho fuochi d’artificio o scenografie spaziali, ma non per questo mi definirei noioso.

-        T: Caro Sconosciuti, vedo che continua ad eludere la domanda. Qualunque show, bio-epic, reality o documentario che sia, può essere tanto semplice da apparire essenziale, ma interessare il pubblico resta l’obiettivo finale di ogni programma televisivo. Certo che anche l’essenziale può interessare, ma non basta dirlo, ci si deve lavorare su.

-        P: Sì, io ci lavoro su. Per esempio ho una colonna sonora inedita, un jingle molto riconoscibile.

-        T: Bene! E poi?

-        P: E poi, il montaggio, anche quello è curato nei dettagli.

-        T: Bene. Venendo a concludere questa nostra chiacchierata, mi permetto di essere franco. Credo che lei sia la prima vittima della sua monotonia. Parlare di storie comuni è lodevole, ma ci vuole un impianto narrativo e produttivo robusto, in grado di legittimarle, sostenerle e potenziarle, queste storie comuni. Credo che proprio per far fronte a questa abitudinarietà si sia messo a pedinare la sua compagna, fino a venire qui da me. Ma credo anche che lei stia solo cercando un po’ di brio, una folata di adrenalina.

-         P: Mi sta dando del noioso, insomma?

-        T: Vede, questo è solo ciò che ho capito da questa chiacchierata informale. Non credo lei abbia nessun disturbo psicologico, semplicemente si annoia e di conseguenza annoia gli altri. E se ogni tanto si concedesse di perdere il controllo? Di rischiare?

-        P: Ma rischi grandi o piccoli?

-        T: Rischi. Non si possono programmare troppo, altrimenti non sono rischi.

-        P: Certo.

-        T: Ci pensi. Se poi ha bisogno ancora di me, mi chiami!

-        P: Ok, a presto.



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