29
ottobre

PIERFRANCESCO FAVINO A DM: NETFLIX E’ IL NUOVO CHE TROVA UNA COLLOCAZIONE (VIDEO)

Pierfrancesco Favino

Potremmo definirlo l’”ambasciatore” italiano di Netflix. Pierfrancesco Favino è, infatti, nel cast della serie Marco Polo e nel film Suburra, che il colosso americano sta distribuendo in America, oltre a vantare una non nascosta passione per quello che Netflix rappresenta e ha rappresentato sinora. DavideMaggio.it l’ha incontrato.

Video Intervista a Pierfrancesco Favino

Cos’è Netflix? E’ il nuovo che avanza, un semplice cambiamento o…

Finalmente, è il nuovo che arriva. E’ stato sicuramente quello che in America si chiama un game changer, cioè una cosa che cambia le regole del gioco. Io penso che sia il nuovo che trova una collocazione, perché noi del nuovo abbiamo già un’esperienza se pensi alle possibilità di scambiarsi le notizie nel mondo, di poter essere in tanti posti contemporaneamente, di poter viaggiare velocissimamente. In tal senso le storie che Netflix cerca di raccontare e ha sviluppato e sta sviluppando sono vicine a questa modalità del mondo.

Quindi novità in termini di contenuti che di fruizione.

Abbiamo tante cose insieme, se guardi l’eterogeneità dei prodotti che stanno scegliendo, c’è di tutto. E non sono solo serie tv, ma film, documentari, tantissimo materiale per i bambini. Io c’ho svoltato diverse serate con le mie figlie in questo senso! E’ facile arrivarci, quando fai la sottoscrizione e ti chiedono quali film ti piace vedere, tu hai un’idea anche dei tuoi gusti e la proposta è legata a quella cosa là.

Qual è la tua watchlist?

Sono un onnivoro, li ho messi anche un po’ in difficoltà. Però poi ce n’è veramente per tutti i gusti, in più con una libertà creativa che, forse, almeno da noi poche realtà hanno.

Un Marco Polo in Rai come sarebbe?

C’è stata in passato, ed era una bellissima serie di Montaldo, una delle ultime serie che abbiamo venduto nel mondo e di cui siamo e sono particolare orgoglioso essendo di Giuliano Montaldo, regista con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Per la Rai di oggi sarebbe stato uno sforzo produttivo enorme, cosa che Netflix è capace oggi di fare e mi auguro che noi torneremo a farlo in futuro. Sono contento che Netflix venga ad investire da noi; il nostro modo di raccontare può avere un pubblico anche al di là dei nostri confini.

Farai anche la serie di Suburra?

Questo ancora non si sa.

Saresti disponibile?

Siamo ancora all’inizio, sono molto felice che in questo momento negli Stati Uniti, in America del Sud e in Canada possono vedere il film. Se ci pensi sono 50 milioni di abbonati, nessun film italiano è riuscito ad avere una distribuzione così forte se non forse negli anni 60.

In conferenza stampa, Hastings, CEO di Netflix, paventava la morte della tv lineare tra qualche anno. Tu cosa pensi?

Potrei fare lo stesso discorso legato al cinema, io non penso che ci sia una sola forma di televisione. Oggi io faccio una ripresa dal mio telefonino e vado sul giornale, ci sono youtuber che fanno milioni e milioni di numeri, sicuramente qualcosa sta cambiando perchè sta cambiando proprio il rapporto tra tempo e spazio. Netflix è molto al passo con quello che la tecnologia oggi ti consente e soprattutto ha una capacità narrativa di luoghi e storie che fino ad adesso forse non abbiamo avuto il coraggio di portare in televisione, tranne in rari casi.

Gli attori italiani fanno fatica in America, a differenza anche degli spagnoli ad esempio. E’ Hollywood che un po’ li snobba o c’è dell’altro?

Noi siamo stati l’unico paese latino che ha avuto una grandissima rappresentanza di italiani all’estero negli anni 60, la Spagna aveva un cinema di regime, la Francia un cinema d’autore che aveva un suo bacino nei paesi francofoni. Dopodiché la comunità ispanica negli Stati Uniti ha preso piede largamente, e dunque sai che se produci con un attore ispanico hai un 50% di pubblico che è di origine ispanica o parla correttamente inglese e spagnolo. Noi siamo indietro con l’inglese sicuramente, ma non è solo quello il problema. C’è un discorso di comunicatività, il problema è riuscire a capire cosa significa il tuo modo di recitare, cosa tu esprimi e cosa esprime l’attore di un altro paese. Attraverso la recitazione esprimiamo mondi diversi, dobbiamo essere bravi a portare il nostro mondo.

Il problema sta in un legame troppo accentuato con la terra d’origine?

Non credo, ho sempre cercato di non portare fuori dall’Italia – quando mi è stata data la possibilità – un cliché dell’italiano, dobbiamo essere bravi a imparare a raccontare anche per altro pubblico quello che ci appartiene. Suburra è un ottimo esempio in questo caso, tanto è vero che è stato comprato non perchè venivano qua ma perchè gli è piaciuto. Non penso ci sia una chiusura eccessiva verso l’Italia, a limite c’è una chiusura verso tanto mondo. Se ci pensi un’attrice che sta riuscendo a fare un percorso è Marion Cotillard che parla un inglese straordinario che gli consente di poter fare determinati ruoli.

Però è francese, non italiana.

Monica Bellucci ha fatto un bel percorso, Valeria Golino quasi è nata lì.

Forse in Italia gli attori si sentono più coccolati.

No, il problema non è quello, è più ampio di così.

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1 Commento dei lettori »

1. luigi ha scritto:

29 ottobre 2015 alle 21:26

devo dire la verità non sono così entusiasta di questa cosa…. forse è meglio riprendere a investire sulla tv tradizionale



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