La campanella d’inizio anno è suonata. E l’alunno Giovanni Floris ha preso posto tra i banchi del palinsesto desideroso di affermarsi come il primo della classe. Tornando su La7 con diMartedì, l’occhialuto conduttore non si è limitato ad eseguire il compitino assegnatogli dal preside Urbano Cairo (già svolto egregiamente nella passata stagione) ma si è spinto oltre, mettendo mano al format. Nel suo programma, infatti, la componente del dibattito è stata ridotta all’osso per lasciare posto ad interviste singole. Lo studente si è applicato: vediamo ora come giudicarlo.
Al netto della prima puntata, la scelta di cadenzare la serata con una serie di faccia a faccia (tutti con ospiti di rilievo) ci è parsa astuta. Ma anche rischiosa. Infatti, se da una parte le interviste garantiscono un confronto pacato e più proficuo dei chiassosi dibattiti, dall’altra esse sottraggono spazio al plurale confronto delle idee. La riuscita delle conversazioni vis-à-vis, inoltre, è tutta affidata alla sensibilità del conduttore, il quale sceglie il tenore delle domande. Ieri, ad esempio, Floris è parso incalzante con il sindaco Marino e meno con la Presidente Boldrini (sebbene gli spunti non mancassero affatto).
Va comunque precisato che a diMartedì il talk non è del tutto sparito. Semmai è stato destrutturato e frammentato: i momenti di confronto prevedono ora la partecipazione di pochi interlocutori. E questo ci piace. Per dibattere sull’attualità, infatti, non servono ampi consessi ma ospiti mirati e adatti all’argomento. I cambiamenti operati quest’anno a diMartedì (tra cui annoveriamo anche un efficace riassetto dello studio e un nuovo regista) sembrano andare verso un’unica direzione: quella di attribuire un profilo alto al programma. Valuteremo più avanti i risultati.
Non possiamo che leggere in tale ottica anche la scelta di concludere la puntata di ieri con pregevole servizio sui giardini del Quirinale condotto dallo stesso Floris.
Per le prossime puntate auspichiamo un perfezionamento alla scaletta: vanno bene l’agilità e il ritmo, ma l’effetto mordi e fuggi (ravvisato soprattutto nelle interviste) nuoce all’approfondimento.
1. johnny ha scritto:
16 settembre 2015 alle 15:22