Da una parte guadagnava, dall’altra cercava di realizzare il suo sogno. Prima di dedicarsi completamente all’attività di stand up comedian e di approdare a Comedy Central, Mauro Fratini ha ricoperto più di un ruolo nell’ambito della produzione televisiva che nulla aveva a che fare con il palcoscenico. La sua “doppia vita” dà il la alla nostra chiacchierata che arriva a poche ore dal debutto di Mauro nelle vesti di conduttore della puntata di Stand Up Comedy, in onda stasera alle 23 sul canale 124 di Sky.
Hai un curriculum variegato che spazia tra cose diversissime e non sempre riconducibili alla comicità…
Ho iniziato con la scuola di teatro, poi l’università, coltivando sempre il sogno del palcoscenico. Mi è capitato in seguito di fare produzione e televisione in vari ruoli (all’inizio ho fatto il direttore produttivo e il regista) e, dunque, ho sempre diversificato percorrendo due strade parallele. Da una prendevo i soldi e con l’altra facevo quello che volevo fare.
Perchè poi hai detto “basta”? Erano arrivati i guadagni?
Quando dalla mia cantina, con Filippo Giardina, facevo un videoblog sulla rassegna stampa – e Repubblica.it ci prendeva i video – eravamo dei precursori e non si guadagnava. Anche con Satiriasi non guadagnavamo e abbiamo sempre detto che “attaccavamo il profitto”. Se la logica di quello che fai sarà sempre quella di arrivare al profitto farai quello che ti dicono gli altri. Poveri per poveri, almeno ora facciamo quello che ci va di fare. Sono arrivato ad un punto in cui non avrei potuto raggiungere i risultati che volevo se avessi fatto due cose contemporaneamente.
Peraltro ti fai portatore di un tipo di comicità diversa da quella televisiva classica…
Sicuramente all’inizio il nostro era un linguaggio non televisivo per quello che la televisione tendeva a proporre. Avevamo la voglia di raccontare qualcosa, e in televisione non c’è mai il tempo. E se ci pensiamo il problema principale dei nostri giorni è che non sappiamo più ascoltare gli altri, ci annoiamo subito di tutto. La nostra è una comicità più teatrale che racchiude la voglia di comunicare a qualcuno. In tv abbiamo abbiamo accorciato i nostri monologhi, che in una serata possono durare tra i 7 e i 10 minuti. Un tempo non esagerato perché bisogna mantenere viva l’attenzione nello spettatore.
Parlavi di comunicare qualcosa con il vostro mestiere, hai un interlocutore privilegiato al quale ti rivolgi?
Parlo a qualcuno in qualche modo simile a me e cerco di trovare le parole giuste affinché la comunicazione riesca. Anche se il fine ultimo della satira non è l’utilità, io credo che debba lasciare qualcosa a chi ascolta, un’idea da elaborare che possa aiutare nel cammino di ognuno.
Come ti sei trovato nelle vesti di conduttore per una sera?
La conduzione è una cosa particolare e diversa. Il comico aspetta il suo turno e affronta il pubblico con lo strumento del monologo, qui devi creare una situazione di accoglienza e di entusiasmo. La cosa difficile è rompere il ghiaccio, mettere lo spettatore in condizione di ascoltarci, abbattendo i muri.
Cosa hai pensato della battuta al Festival di Sanremo di Siani sul bambino oversize?
Non ho visto l’episodio in questione. Posso dire che oltre alla battuta in sé, bisogna capire com’è stata generata. Come stava andando? Magari stava andando male e ha cercato una scorciatoia, oppure voleva rompere il ghiaccio, non so. Prima parlavamo di spettatore ideale, ecco, lo spettatore ideale è una persona alla quale voglio bene. Voglio che ci sia uno scambio umano e se io prendo per il culo un bambino, che ha già i suoi problemi, non vedo quale sia la figata.
Sei poco attivo su Twitter. Come mai?
La doppia vita che ho portato avanti non mi ha consentito di dedicarmi pienamente ad attività come i social che però mi piacciono.