Stasera toccherà a Francesco De Carlo, il “comico internazionale” del gruppo, tenere le fila della seconda puntata di Stand Up Comedy, l’appuntamento all’insegna dell’irriverenza che Comedy Central propone ogni lunedì alle 23.
DM l’ha incontrato e ha cercato di saperne di più sul suo percorso professionale che l’ha portato più volte ad esibirsi all’estero e sulla sua esperienza a Stand Up Comedy.
Francesco tu sei l’internazionale del gruppo…
Sì, sono il primo esemplare di comico professionista che fa stand up comedy in inglese all’estero.
Fatto anomalo perché la comicità solitamente è nazionale.
La comicità, come l’abbiamo intesa sino ad oggi, ha dei riferimenti sicuramente nazionali. Il nostro genere però si rifà ad una tradizione anglosassone e comunque evito giochi di parole e cerco di non fare riferimenti a delle cose concrete italiane. A volte, a limite, adatto alcune situazioni.
All’estero “fai l’italiano”?
La mia vera sfida è stata quella di non fare una cosa immediatamente riconducibile alle mie origini. Nelle mie prime battute parlavo spesso dell’Italia divertendomi a smontare gli stereotipi, ma, data dopo data, il mio repertorio è radicalmente cambiato. Anche perchè all’inizio me la facevo sotto e il mio inglese è terribile. Allo stesso tempo l’essere italiano è una mia forza, nel senso che diventi più riconoscibile. Ora, dunque, sono un comico come gli altri, mi sono esibito a Londra, Edimburgo, in Svizzera e nel Nord Europa.
Gli inglesi non sono severi con chi non parla bene la loro lingua?
Molto meno di quello che pensavo. Sono abituati ad accenti diversi e trovano divertente quello italiano. Sulla comicità sono molto severi, soprattutto la critica lo è. L’Inghilterra si sente patria della comicità e c’è in generale un po’ di puzza sotto al naso.
C’è qualcosa che fa ridere di più all’estero?
A me piace molto la comicità surreale, qui in Italia abbiamo ottimi esempi – come Antonio Rezza e Lillo e Greg – ma sicuramente in Gran Bretagna è più radicata. La differenza principale che ho notato rispetto all’estero è il pubblico. All’estero ci sono i comedy club, fondamentali per la stand up comedy, in cui il pubblico è pronto a ridere mentre in Italia ci siamo trovati ad esibirci in ristoranti e pizzerie che gioco forza ti fanno abbassare il tono della comicità.
Nella tua scheda che la tua è una satira “variegata all’amarena”. Cosa significa?
Non sapevo cosa scrivere! La verità è che non mi prendo sul serio e che mi piacciono i gelati!
La comicità surreale non “contrasta” con il modello stand up comedy, tipicamente molto legato alla realtà?
Giusta osservazione. All’estero per stand up comedy si intende una persona che sale sul palco ed esprime un punto di vista che sottintende un’idea di libertà d’espressione molto sentita. Per me è importante che uno salga sul palco e faccia ridere su quello che lo fa ridere.
Qual è per te il punto C della comicità?
E’ quello di sdrammatizzare la pesantezza della vita, per quanto la nostra satira possa essere controcorrente, io intendo questo lavoro un po’ diversamente dagli altri, il vero effetto della satira è ricordare che la vita non ha senso.
La vita non ha senso?
E’ il mio punto di vista, la vita non ha senso e per questo non bisogna dare troppo senso alle cose. In ogni mio pezzo alterno diverse tonalità dalla più fisica alla più cinica. Per me è importante che il pubblico abbassi le barriere per far entrare concetti che ritengo più importanti.
C’è un modello italiano al quale ti ispiri?
Sono cresciuto con i grandi comici come Guzzanti e con alcune stagioni di Mai dire Gol. Tuttavia non ho mai preso in considerazione l’idea di fare il comico finchè non ho visto i mostri sacri della stand up comedy.
Com’è il rapporto tra voi comici di Stand Up Comedy?
Ci sopportiamo! C’è un supporto reciproco anche perchè abbiamo avuto modo di conoscerci bene. Prima che Comedy ci desse questa opportunità, infatti, noi per cinque anni ci siamo esibiti insieme ogni settimana, tra prove e spettacoli veri e propri.