Il maledetto fascino della mafia, il magnetismo dei protagonisti, un intreccio appassionante e coinvolgente, o la sublimazione del brutto, per rifarsi in qualche modo alle parole di Aldo Grasso. Detrattori e ammiratori potrebbero disquisire a lungo sul successo della fiction di Canale5 L’Onore e il Rispetto.
Noi che non biasimiamo entrambe le parti, scegliamo di focalizzarci su un incontrovertibile pregio, tale da oscurare gli innegabili limiti della fiction: l’aver intessuto le trame di elementi emozionali non ritrovabili altrove. L’amore per la famiglia e per i figli che va oltre qualunque cosa; la presenza della Fede, sempre e comunque; il rumoreggiare popolare che influenza le nostre scelte. Caratteristiche, queste, della nostra società che l’atavica miopia della fiction nostrana fa spesso, troppo spesso, dimenticare ma che L’Onore e Il Rispetto ha, con fermezza, saputo rappresentare, complice l’ambientazione storica.
La fierezza mafiosa di Donna Rosangela capace di farle ordinare i più crudi delitti ma che nulla può dinnanzi all’amore per suo figlio, l’indissolubile legame tra Santi e Tonio nonostante le diverse scelte di vita, la ricerca di aiuto e sostegno che solo un Prete può dare sono solo alcuni esempi che palesano quanto detto e che hanno differenziato L’Onore e il Rispetto da altre fiction italiane. Per la finzione televisiva made in Italy, infatti, l’Italia è un paese di famiglie di fatto dove non esistono zii e cugini, divorziati, giovani quarantenni alla ribalta e atei. Tutte balle: l’Italia è una grande provincia.
Non venite a dirci che si divorzia con nonchalance, che non esistono sensi di colpa, che ce ne infischiamo della religione o del pullulare di comari pronte a censurare ogni minimo passo falso, in apparenza, moralmente discutibile. Lungi dall’affermare la completa assenza, nel nostro Paese, delle realtà “emancipate” che si vedono nelle fiction, o che sia sbagliato rappresentare qualcosa di poco realistico ma creativo e credibile, ciò che ci auspichiamo è che, in alcuni casi, fosse un tantino maggiore la rappresentatività della realtà italiana nella fiction.
Solo in questo modo si otterrà il coinvolgimento dell’empatico popolo televisivo nostrano, così sensibile alla rappresentazione sullo schermo della sua quotidianità. Una fiction costruita su suddetti diktat avrebbe forse il difetto di essere poco appetibile all’estero, ma francamente poco importa, tanto – per alcuni aspetti - i colleghi d’oltreoceano saranno sempre più “fighi”, ma una buona fiction resta tale in Italia così come in Vietnam.
La missione, dunque, spetterebbe a Del Noce e Scheri che dovrebbero far si che l’italica fiction si riappropi di contenuti tali da incarnare i valori dell’italianità, partendo dal basso, nel modo meno snobistico possibile. Perchè l’America va sì copiata ma tenendo ben a mente la sua diversità per storia e tradizione. Prendere a modello la qualità delle sceneggiature, della regia, l’efficienza delle produzioni e altro, ma non i contenuti; quelli, per riuscire ad emozionare, dovrebbero esser frutto del nostro patrimonio socioculturale.
1. Francesco ha scritto:
15 ottobre 2009 alle 17:31