Il giudizio sulla tv italiana si fa sempre più impietoso e dire che i nostri palinsesti sono pieni di robaccia è diventata la moda intellettuale più chic. Proprio su questa scia di riserve sulla qualità della programmazione made in Italy si innesta il documentario che tanto ha fatto discutere già prima dell’arrivo nelle sale, datato 4 settembre. Parliamo naturalmente di Videocracy, accolto con grande entusiasmo alla Mostra del Cinema di Venezia.
In attesa di conoscere la reazione del pubblico italiano al film, anche se è prevedibile un successo solo presso alcune nicchie che fanno dello snobismo verso la tv il loro manifesto ormai da tempo, possiamo sicuramente notare come già a partire dal trailer, ci sia un montaggio a tesi volutamente eccessivo, a tratti pretestuoso, che usa sapientemente gli scandali mediatici degli ultimi mesi come presunto collante culturale capace di giustificare, a parere del regista Gandini, il degrado dell’italico sistema audiovisivo.
Ora, premesso che è giusto e legittimo avanzare delle richieste mirate a dare più spazio all’arte, alla letteratura, al cinema d’autore, e considerato che non solo il regista svedese ha espresso perplessità sulla gestione del nostro sistema televisivo, il problema di Videocracy è la forzatura dei teoremi e l’ipocrisia della ricostruzione. Andiamo a vedere quali sono gli assiomi più estremi.
E’ molto, troppo, facile partire dalle figure di Lele Mora e Fabrizio Corona, decisamente i personaggi più televisivamente provocatori nella storia della recente tv italiana, e pretendere di rivestirli di emblematicità, come se fossero davvero i burattinai di uno spettacolo squallido atto a produrre business e lobotomizzare le menti per fini poco puliti. Sia chiaro, è lecita ogni critica ma è anche corretto non restare in silenzio dinanzi a ricostruzioni ingiuste e poco generose.
Al di là di ogni considerazione politica che, occupandoci di televisione, tralasciamo volutamente, costruire un trattato sulle immancabili dichiarazioni ad effetto di Fabrizio Corona, talmente ossessionato dalla voglia di far parlare di sè da vendere ancora una volta le sue nudità alla telecamera con incredibile nonchalance e sulle immagini patinate delle lussuose ville di Lele Mora (colto mentre si dimena a bordo piscina mostrando orgogliosamente il suo screensaver nazista e la sua suoneria fascista) facendo credere che l’ambiente della Sardegna delle feste glamour è quello che poi decide tutte le sorti italiane… tutto questo è davvero troppo, soprattutto se aggiungiamo che queste allusioni gettano scorrettamente nel calderone anche volti come quello di Simona Ventura, che viene invischiata assurdamente solo sulla base delle sue frequentazioni mondane estive.
E’ come se un regista italiano sfruttasse qualche piccolo scandalo oltreconfine e da lì montasse un valzer di immagini fortemente connotate dall’erotismo (basti vedere qualche puntata di Grande Fratello estero, come abbiamo spesso evidenziato nella nostra rubrica), supportate da interviste ad aspiranti starlette arriviste o a manager bizzarri, e il gioco è presto fatto.
Caro signor regista se il suo obiettivo era veramente quello di individuare, con serietà e pazienza, i problemi del nostro sistema televisivo e culturale, ritenti, sarà più fortunato. E poi saprebbe illuminarci con qualche modello televisivo svedese da imitare, perché a noi risulta solo che la tv scandinava sia tra le peggiori in Europa a livello di qualità.
51. Cristian Tracà ha scritto:
6 settembre 2009 alle 19:05