Nel triangolo sport-spettacolo-forze armate, gira che ti rigira sono sempre quest’ultime a rimetterci – vedi i carabinieri Montano Aldo e Granbassi Margherita -, con buona pace dell’attaccamento alla divisa. Sebbene sia difficile negare quanto la tv può (o meglio: potrebbe) fare dando visibilità a tutti quegli atleti che, fuor di Olimpiade, vivono nell’anonimato. Per non parlare poi del ritorno economico, ché non si vive di sole pedane (e corsie, e quadri svedesi); o di Kinder Bueno, certo.
Così succede che alla fine uno come Andrew Howe si incazza. L’atleta reatino dai natali losangelini ha infatti confermato quanto noi per primi paventavamo: l’Aeronautica Militare gli darà l’agognato nulla osta per partecipare alla Tribù – Missione India? La risposta è arrivata stamani con un’intervista inalberata rilasciata da Howe a la Repubblica in cui se la prende con la dirigenza tutta del gruppo sportivo dell’Aeronautica Militare, rea, appunto, di avergli vietato all’ultimo momento di partecipare al reality. Ad accordo con la produzione già firmato, peraltro. “Si vede che devono trovare un colpevole alla figuraccia fatta a Berlino”, accusa il saltatore ventiquattrenne, “Nemmeno una medaglia. Allora, come i bambini, puntano il dito sugli altri, scaricano la colpa su di me, infortunato da due anni. Non lo trovo il massimo dell’eleganza. Se sono malato lo devo a loro, che hanno fatto finta di niente”. Howe è reduce da un biennio poco fortunato: doppio infortunio tra maggio e giugno 2008, a Pechino fuori dalla finale del lungo, poi “ho seguito i loro consigli (di quelli dell’Aeronautica, ndDM), sono rientrato troppo presto e a Mosca mi sono fatto male”. Di conseguenza, niente Europei, e niente Mondiali.
Adesso quella che suona come una punizione, la rinuncia coatta al reality di Canale 5, nonostante il contratto garantisse allo sportivo una dieta ad hoc, sessioni di palestra, medico, fisioterapista e trenta minuti di telefonate gratis con il tecnico ogni due giorni – senza poi contare che “mi devo operare al tendine e sarei andato in India convalescente, non perdevo grandi giornate di allenamento”.
Inoltre, prosegue Howe, la Tribù avrebbe dato visibilità a lui (“A Roma mi hanno preso per un tennista”) e all’atletica leggera, nonché una ghiotta opportunità economica “visto che mi hanno dimezzato la borsa di studio. Se potessi vivere mangiando la sabbia lo farei, ma non posso”. D’altronde “la differenza tra me e chi mi accusa di essere il grande peccatore dell’atletica italiana, è che io la fame l’ho fatta per davvero, so cosa si prova, loro no” ricordando la mommy-coach Renée che “metteva duemila lire nella Bibbia, era tutto quello che aveva. E lo stress economico non fa bene a uno sportivo“.
In definitiva il gran rifiuto porterà a un’irreparabile incrinatura dei rapporti tra Andrew Howe e le istituzioni dello sport nazionale: “L’Italia, anziché fare dei propri atleti degli ambasciatori, li disprezza. I dirigenti si comportano come maestri di un vecchio collegio: zitti e obbedire. Ma lo sport non è mica una caserma“.
1. zia assunta ha scritto:
26 agosto 2009 alle 11:46